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Vagiti di un guerriero mediocre

(Diario in piena libertà)

Viaggio insensato nella corrente sotterranea dell'Identità reale ed apparente


Essere per gli altri affonda le radici nell'essere per se stessi, in se stessi, con se stessi; questa (ormai mi è chiaro) è l'unica vera impresa del guerriero. Bisogna partire quindi da "chi sono io?". Guardando un proprio ritratto sarebbe facile dire spontaneamente: "Questo sono io". Ma davvero quel frugolo sono io? E' con la consapevolezza che inizia la coscienza di sè, ma io non mi ricordo di quel periodo. Vedo solo un corpicino ed uno sguardo che mi sembra fiducioso.

La domanda "chi sono io?" mi conduce al presente in cui è cambiato tutto da quando ero quel frugoletto. Non darò naturalmente una risposta saggia a questa domanda, ma ho scritto qualcosa che fa intendere una risposta, o almeno, la mia risposta che sono certo non è definitiva.


Settembre 2019

Quando si dedica la propria vita a cercare la Verità di se stessi, ovvero piccoli barlumi di essa che si riflettono nella Vita più ampia che ci contiene e ci sorregge e nella Terra che ci nutre, accade anno dopo anno che si perdono pezzi di ciò che credevamo fosse la nostra "identità". Sono più gli errori che i successi, le paludi e i rovi, gli smarrimenti che lasciano senza fiato. Ma qualcosa di vago inizia a prendere forma, qualcosa che per molto tempo resta nascosto, ma cresce, qualcosa che è sempre stato nel fondo di noi stessi. Poi questa Cosa appare in brevi momenti di grazia e sorride con una potente leggerezza e prende sempre maggiore consistenza. Nel frattempo continua il processo di scarnificazione ed il guerriero sincero non si arrende e continua imperterrito ad immergersi nel proprio Cuore, spazio di verità e di accoglienza, e si accorge che quella Cosa è se stesso...ognuno è quella Cosa nella sua natura essenziale. Diventa solida la certezza che senza quella Cosa non esiste nessun autentico cammino di trasformazione. Non c'è psicologia che tenga, non c'è metodo, non c'è pratica, non c'è nessuna scorciatoia né erudizione o filosofia che serva. Qualsiasi sistema psicologico o filosofico che non contempli la possibilità di toccare questa Cosa, questo Centro essenziale, questo nucleo di Coscienza luminosa e colma d'Amore che ognuno di noi è conduce al fallimento nel peggiore dei casi oppure può solo dare un certo insipido benessere. Solo una psicologia integrale che abbia cura della nostra essenza e della nostra forma da essa animata, ovvero che contempli la possibilità di agire sulla struttura del nostro carattere ed apra contemporaneamente la via al contatto con l'"anima" è veramente efficace. Dobbiamo tornare ad essere ANIMA se vogliamo dare una speranza alla Terra.


25 agosto 2019

Vorrei trovare le parole per esprimere una certezza che sta prendendo forma in me in questo ultimo mese di vacanza dalle attività, ma non da me stesso. Ho l'impressione che tutto sia stravolto in qualsiasi "spazio" degli esseri umani. Ma siccome mi occupo di psicologia, di ricerca interiore e di spiritualità, preferisco parlare di questi argomenti. Vi è una grande responsabilità di chi opera in questo campo come specialista, terapeuta, insegnante. Sono queste persone che in molti casi fanno dei danni, spacciando per trattamenti psicologici o interiori interventi manipolativi, suggestivi e superficiali, dando un falso messaggio a chi è spinto da un disagio o animato da una sincera aspirazione. Un cammino psicologico, esistenziale, interiore e spirituale non è una strada semplice e breve e non può basarsi su facili entusiasmi, su luoghi sicuri, su oasi condivise, perché in tal modo si crede di stare facendo un percorso di crescita, ma che non funziona più quando si è lontani da questi spazi suggestivi. È la Terra la realtà in cui muoversi ed agire ed è il quotidiano, spesso sgradevole, in cui portare la nostra consapevolezza e il nostro cambiamento. La sola consapevolezza non serve; è solo l'inizio di un processo e spesso viene confusa con la conoscenza dei propri meccanismi, ma che non significa averli compresi realmente e averli superati. Questo ovviamente non vuol essere un giudizio ma un appello ad uscire dalla propria menzogna personale. Non serve meditare se viene insegnato qualcosa che non è meditazione ma che è trasmesso come tale, non serve fare un percorso psicologico se quel percorso è un raccontarsi quanto siamo bravi a sentire emozioni che poi non riusciamo a gestire o capire teoricamente meccanismi che non riusciamo a trasformare. Anche la spiritualità non è sostituire nuovi riti, più "avanzati" e più "scientifici" coi vecchi. Sento con tutto il mio essere ciò che cerco di comunicare con queste parole inadeguate. Sento la spiritualità vera nelle persone che sanno agire al servizio degli altri, anche se non conoscono la meditazione, che hanno una empatia reale che tiene conto delle differenze e delle esigenze di ognuno. Le varie psicologie e spiritualità non possono aderire a schemi, non possono rinchiudersi in modelli che non lasciano spazio alla comunicazione ed al confronto. Sono ben consapevole di non essere nessuno per dire queste cose, eppure non posso farne a meno. Mi fa male vedere la superficialità di coloro che dovrebbero sapere e che dovrebbero offrire qualità, competenza e sincerità. Talvolta invece chi opera in campo psicologico, didattico e spirituale non ha fatto nessun vero percorso di trasformazione su sé stesso, insegna ciò che non vive veramente, che conosce solo teoricamente. Ognuno fa errori ovviamente (e ne ho fatti tanti anch'io), ma bisogna saperli riconoscere, sapere che non si deve mai abbassare la guardia. Soprattutto noi che operiamo in questi settori siamo continuamente nella tentazione di vedere alimentato il nostro ego dal riconoscimento che ci viene dato, dalle aspettative e dalla gratitudine che leggiamo negli occhi di chi si affida a noi. Personalmente quando sento che qualcuno vorrebbe idealizzarmi provo un vero disagio, sapendo quanta strada debba ancora fare. Noi "operatori della psiche" dovremmo continuamente lavorare su noi stessi attraverso altre persone competenti, fare un cammino senza soste, mantenendoci aperti, nutrendo una sana umiltà, vero grounding di ogni ricercatore.


19 agosto 2019

Non sono un uomo di scienza, non fa proprio parte della mia natura. A me interessa solo scoprire attraverso l'esperienza diretta, mettendo in gioco me stesso, pur essendo sempre più consapevole dei miei limiti e delle mie contraddizioni.

Col passare degli anni acquista sempre più valore la condivisione delle esperienze. Vivere solo per se stessi è una idiozia intollerabile. Ogni volta che qualche nuova consapevolezza si apre in me sento la necessità e l'entusiasmo di comparteciparla; provo lo stesso piacere che mi attraversa quando faccio un dono ad una persona che amo. Donare è un privilegio ed una ricchezza.

Questo è il motivo per cui sfrutto i social che mi danno la possibilità di poter parlare a molte più persone.

All'età di quasi settanta anni inizio ad avere una certa chiarezza sulla psicologia degli esseri umani, chiarezza paradossale, perché prende forma dalla percezione sempre più grande della mia ignoranza: questa non è una frase fatta, ma completamente sincera.

Ciò che mi addolora, come psicoterapeuta "reichiano", è vedere che Wilhelm Reich viene svalutato e rimpicciolito anche da molti psicoterapeuti che si ispirano a lui. Reich era già molto oltre nella sua epoca storica, ma continua ad essere oltre anche adesso. In lui c'era una CONOSCENZA che scaturiva non solo dalla sua esperienza e dalle sue ricerche, ma da uno spazio di coscienza più intimo. Oltre alla sua personalità, certamente complessa e tormentata, aveva accesso ad un'interiorità da cui sgorgavano intuizioni profonde, come accade ad altri genii come Carl Gustav Jung.

Ma per comprendere Reich non è assolutamente sufficiente il pensiero razionale. Studiarlo è ben poca cosa. Bisogna imparare a "sentire". Si tratta del sentire che affonda le radici negli strati più profondi della natura umana, del bios, del nucleo energetico. Niente teorie...ma tantissima "pratica" di ascolto sottile.


3 aprile 2019

In questa epoca virtuale ha preso il sopravvento un atteggiamento che si radica sempre di più nelle persone e che si manifesta sul piano psicologico, astratto, ideale: riguarda il modo in cui ci fermiamo alle intenzioni e LE FACCIAMO DIVENTARE REALI, pur non concretizzandole in un sostanziale atto di trasformazione. Questo atteggiamento riguarda moltissimo il piano della ricerca interiore e di quella cosa fantomatica che chiamiamo ricerca spirituale. Si inizia col rendersi conto che c'è qualcosa di sbagliato nella nostra vita, si contatta il vuoto ed il senso della inutilità, ci si guarda dentro e spesso si sceglie di percorrere una via spirituale o psicologica o tutte e due insieme e si inizia a creare un PERSONAGGIO IDEALE che ha le qualità che vorremmo sviluppare e che afferma di comportarsi nel modo che pensiamo sia più autentico. Peccato che tutto ciò avviene solo con le parole e non con i fatti. La sola adesione ad un ideale più nobile, citando maestri, parlando di distacco, non attaccamento, accettazione, presenza, empatia, maestro interiore, etc non ci rende diversi, non cambia di un soffio la nostra personalità. in poche parole SI VIVE COME SE…e si continua ad essere COME SI ERA PRIMA, convinti di stare "evolvendo". Manca l'autentico intento, l'attenzione continua, la determinazione, la disciplina. Si rimane aggrappati ai vecchi copioni, raccontando a se stessi che ci stiamo "lavorando". Gli schemi vanno spezzati e questo costa molto dolore all'inizio, ma conduce ad una gioia semplice e alla libertà vera.


2 aprile 2019

Mi rendo conto che la parola "pratica" possa essere equivoca perché dò per scontato che tutti sappiano il significato di "pratica" e "praticare". Nel mondo buddhista si intende per pratica la meditazione di consapevolezza, sia la Vipassana che lo Zen. La pratica si divide in pratica formale (quella seduta o anche camminata) a cui si dedica una tempo ed uno spazio specifico ogni giorno, e la pratica informale, ovvero l'attenzione consapevole al momento presente vivendo nel quotidiano. Quindi per pratica intendo tutte e due le fasi. Vivere la vita nella piena consapevolezza è un fine nobile. Chi pratica VERAMENTE non si limita soltanto alla meditazione seduta, ma porta l'attenzione diffusa nel quotidiano perché si medita per vivere (nella presenza) e non si vive per meditare.


28 gennaio 2019

Esprimo un desiderio. Vorrei che non esistesse più la separazione tra le varie scuole di psicoterapia, soprattutto tra quelle dell’area corporea. Oggi credo che sia riduttivo definirsi di parte perché la scienza va sempre di più nella direzione della integrazione olistica e chi studia l’uomo seriamente osserva le stesse leggi, gli stessi fenomeni. Alcuni danno più rilevanza ad un aspetto, altri ad un altro. Ma proprio in questo sta la ricchezza, perché ogni studioso può aiutare il collega a completare il quadro, può fornire degli spunti o può indagare più approfonditamente alcune funzioni dell’essere umano. Personalmente, pur essendo di formazione reichiana, faccio tesoro dei metodi e del sistema della bioenergetica, della corenergetica di Pierrakos, di Becker, di Downing e di tutti coloro che ampliano la mia limitata conoscenza dell’uomo. Non ci sono tante conoscenze, ma una sola, diramata in rivoli. Nessuna idea ci appartiene veramente, nessun metodo è totalmente originale. Ma ancora molti studiosi si aggrappano ai loro sistemi, ritenendo con ingenuo orgoglio di avere tra le mani il metodo migliore. Finché l’ego gestisce l’essere umano, prevale la logica della separazione e dell’affermazione dell’importanza personale. Eppure è così bello e stimolante il confronto e il dialogo, con la sensazione di appartenere ad un progetto comune di ricerca, con la gioia di agire per l’Uomo, con la gratitudine per chi ci amplia l’orizzonte della conoscenza.


19 gennaio 2019

Mi sveglio la mattina e subito mi torna il pensiero del mio corso di educazione alla ricerca interiore. Quali sono i punti salienti di una ricerca interiore? Da dove partire?

Mi pare chiaro che il punto di partenza debba essere la consapevolezza. Questo tema non può essere teorico perché non servirebbe a niente, ma è necessario che prima ci si accorga con chiarezza che noi siamo addormentati, pur credendo di essere svegli.


17 gennaio 2019

Che senso ha la vita di un essere umano se non lascia ad altri qualche piccolo o grande dono? Perlomeno per quanto mi riguarda l'offerta ha una grande importanza. Sri Aurobindo diceva che uno yoga fatto solo per se stessi è scandaloso. Ad un livello ovviamente molto più piccolo questo principio ha valore anche per me.

Sono arrivato alla parte finale della mia vita e la mia finestra diventa realmente più piccola. Anche se sono stato spesso restio a dare il giusto valore a tutto ciò che ho fatto, a tutt'oggi mi rendo conto di avere accumulato molte esperienze, quelle vere, fatte sul campo, esperienze che riguardano la ricerca interiore, la conoscenza dell'animo umano, le sue luci e le sue ombre, comprese le mie.

Non ho mai desiderato creare una scuola; non sono adatto a queste cose. Non ho ambizione, almeno questa me la sono risparmiata! Ma mi sembra uno spreco non poter trasmettere questo piccolo patrimonio ad alcune persone di buona volontà che abbiano una vera aspirazione alla Conoscenza e siano sincere nei loro intenti.

Ma come riconoscerle davvero? So bene quanto narcisismo nascosto si cela dietro le buone intenzioni. Questa mattina ho sentito chiaramente che avrei voluto creare un corso di educazione alla ricerca interiore, un corso di studio, di pratiche, di esperienza, di libri, di confronti: un corso flessibile, duttile, aperto all'inclusione e alla sintesi che esprimesse il meglio di ciò che ho fino ad ora scoperto. Non ho grandi verità da dire, ma so soprattutto ciò che è sbagliato, ciò che è falso e pericoloso nella ricerca spirituale.

In tanti anni mi sono scarnificato e nel mio bagaglio sono rimaste poche cose, ma che hanno resistito alle prove e che sento profondamente vere. La via interiore è fatta di semplicità, di innocenza e di costanza. Gli attrezzi sono pochi, quei pochi che servono veramente. Vorrei consegnare questi pochi attrezzi inseriti in una visione generale di consapevolezza.

So di non essere un maestro e vorrei riuscire a non creare equivoci su questo, ma in tanti anni ho verificato che posso essere un buon insegnante. Forse è giunto il momento di assumermi questa responsabilità e di dare un altro senso alla mia vita.


16 gennaio 2019

Le persone sono infelici perché non hanno più se stesse. Tutto questo ormai è così evidente. Respiro ogni giorno la desolazione che c'è intorno a me, una vera cappa di vuoto che si tocca, si assaggia. Non è facile vivere vedendo cosa si nasconde dietro la maschera di ognuno. È come essere perennemente a teatro, spettatore non di una commedia, ma di una tragedia che si consuma dietro a sorrisi, parole che cercano disperatamente di nascondere la desolazione radicata in ogni piega dell'intimo.

Ci si arrangia vivere nell'assenza di promesse e di speranze. La Terra precipita...ma quanti se ne accorgono? Eppure siamo esseri che nel fondo sono Luce. È una verità così semplice e pulita. Mi capita di camminare per le strade e sentire una commozione così solida, una gratitudine così commovente...

La nostra natura essenziale contiene tutto ciò che ci serve e molto di più. Riesco a vedere la Bellezza celata in ciò che può sembrare improbabile, dove meno te lo aspetti. È così strano convivere nello stesso momento con un piano di sublime esistenza e con l'oscurità che assume numerose forme.

Assistere ad una trasmissione televisiva diventa insopportabile, ascoltare una pubblicità mi rende intollerante, perchè tocco la menzogna assoluta in quelle idiozie evidenti...è soffocante...ma contemporaneamente un oggetto quasi scontato, una conchiglia per esempio o un piccolo cactus in un vasetto, sono fonte di stupore. Luci ed ombre convivono in un microuniverso folle che ci ospita.

Cosa posso fare da solo, con quel pò di consapevolezza che ho catturato con anni di determinata aspirazione, se non tentare di offrire uno squarcio di cielo a chi viene da me?

Svegliatevi per favore!


14 gennaio 2019 

Più gli anni avanzano, più frequenti sono i bilanci. Setaccio la mia vita e vedo un mare di errori, di azioni sbagliate, di comportamenti discutibili. Ne sento il peso sul cuore e ho la consapevolezza che questo dolore sia sano. Mi vedo.

Eppure proprio da questi errori sono nate chiarezze. Ora so discriminare e sono testimone all’istante del gioco sottile dell’ego. Nel fondo c’è un cuore sano che pulsa d’Amore. Non posso riparare la trama del passato perché questa è la natura della vita di ognuno, apprendere attraverso l’attrito, persino dagli abissi.

Ma ogni azione del presente, ogni retta azione, può creare nuove trame di luce, produrre effetti etici. Ogni persona che mi sorride, a cui offro un sollievo (per quel poco di cui sono capace) o uno sprazzo di consapevolezza, a cui apro un istante di Cuore vero, mi dona il senso della “mia” Vita, quel flusso di Comunione di anime che dovrebbe essere il fuoco che percorre ogni essere umano.

Vivere è Amare con innocenza naturale….tutto il resto è vuota apparenza.

Più si espande la mia consapevolezza, più piccolo divento, un granello di sabbia che invoca ed invoca….

 

6 aprile 2011

     La ricerca della felicità è il più grande errore che si possa commettere perché non si può cercare ciò che non appartiene al regno delle cose. La felicità può apparire solo quando non ha più senso cercarla, quando cioè non ti importa più niente di essa. Si può cercare un libro, un luogo, persino un profumo od una sensazione, ma la felicità è uno stato, un modo di essere che non ha niente a che fare con nessuna cosa, la più stupenda che possiate immaginare.

        Persino la parola felicità non è appropriata perché esprime un picco, un vertice, che è impossibile mantenere. Per me la felicità è un'esplosione della gioia. Quando l'esplosione cessa, resta la gioia. E' ovvio che anche la gioia non può essere cercata, come non può essere cercata la pace, la bontà, la compassione, la quiete. La gioia appare quando smetti di inseguirla.

        Questo miscuglio che chiamano roberto ha terminato di affannarsi. E' una strana sensazione non avere nessuna meta, navigare nella vita senza più alcun progetto, osservando la conseguenza delle sue azioni che si formano giorno per giorno, come onde progressive e continue di un movimento che nasce dall'aderire a tutto quello che accade dentro di lui.

        Dentro questo miscuglio c'è un senso d'identità che si esprime e che sento di poter chiamare me. E' un me piccolino, ma certo, che non si identifica con niente. E' un senso di esserci, un senso di me, che sento come un dolce languore nel petto, una fitta talvolta struggente, o una tenera commozione d'amore. E' ancora balbettante, vagisce come un neonato, ma perdura con una costanza che mi sorprende quando sono ancora identificato con quell'accozzaglia di emozioni e pensieri farraginosi che le persone conoscono come roberto.

        Talvolta questo me informa di sé roberto e mi sento passeggiare nella vita  con una sensazione di valore, di pienezza. Quando questo accade le mie azioni divengono pregnanti, efficaci. Hanno presa sulla realtà e me e roberto coincidono o per meglio dire roberto diventa il prolungamento di me, di questo piccolo io che sono, un prolungamento che consente di trasferire nella realtà materiale le intenzioni del piccolo me.

        Quando questa coincidenza avviene c'è uno stato di grazia, le azioni sono fluide, avvengono dei cambiamenti nelle situazioni e nelle persone intorno a me. Una parola, un gesto, incidono nella trama della vita. Roberto resta sorpreso ed io/me sento una gratitudine profonda verso il Divino che mi concede di  portare un sollievo a chi viene da me, di sciogliere un conflitto, di risvegliare una nuova consapevolezza.

        Non è un'esperienza di schizofrenia. Al contrario questa dualità roberto-me è una dialettica chiarificatrice della menzogna dei miei personaggi e della verità della mia essenza. Per ogni menzogna che cade in roberto, roberto diventa sempre più unito a me, intendendo per me quella piccola percezione di vera identità che prende forma senza fretta.

        La gratitudine verso il divino nasce dall'esperienza che io/me ho di essere in uno spazio più vasto da cui attingo la forza del mio agire. Agisco come se le mie mani tirassero delle leve potenti che appartengono ad un Cosa più Immensa. Ed è questa cosa che rende possibile un'azione certa. Alcuni la chiamano Grazia. Io non so come chiamarla e non la chiamo, semplicemente perchè è evidente di per sé quando accade.

        Anche l'esperienza di non avere un progetto è particolare perchè non significa assolutamente vivere nella passività, farsi travolgere dagli eventi, senza niente decidere. No, al contrario nasce di volta in volta un impulso, ma non nasce da roberto, ma da me. Naturalmente questo non accade sempre, ma più spesso ultimamente. Quando l'impulso nasce da roberto, senza nessun collegamento con il piccolo me, allora l'azione che viene compiuta non ha una vera efficacia. E' inquinata da movimenti egoistici, da bisogni e frustrazioni, dalla necessità di essere riconosciuto, ammirato, amato. E' quello che normalmente accade ad ogni individuo. Ma quando l'impulso si manifesta come espressione di me, allora è tutta un altra storia! Nell'azione c'è un senso di verità, e non c'è il dubbio della scelta, perché solo quell'azione è funzionale. E' l'unica possibile. Questo stato mi accade soprattutto quando conduco i miei Laboratori: me e roberto coincidono.

                                                                       •

        C'è un roberto pensato e un roberto sentito. Desidero usare un linguaggio che esprima il roberto sentito, senza preoccuparmi di voler essere necessariamente chiaro o coerente. Il roberto sentito manifesta con maggiore verità gli impulsi di me (questo di me rappresenta sempre il piccolo centro che sento come identità autentica). Il roberto solo pensato è una rappresentazione di un falso me che appartiene a quel mucchio di personaggi chiamato roberto. Si potrebbe dire che una parte di roberto pensa roberto e lo fa essere in un certo modo. Oppure una parte di roberto pensa le cose che l'idea di roberto vorrebbe pensare.

        Ma quando sono me, questo nucleo che sono dirige il sentire che a sua volta dà forma al pensare; cessa di esistere il roberto pensato e sentito, ma ho la percezione di essere i a sentire e pensare.

        Comincio a comprendere, perchè talvolta lo vivo, cosa significa essere sé.

Quando sono (ma sono è del tutto falso) il roberto-miscuglio, sento come una caduta, una perdita di valore e di energia. Il cuore si fa pesante e si offusca. Tutto ciò che dico e faccio è insipido e deludente perché. malgrado l'offuscamento, rimane sveglio un osservatore silenzioso, che non è un giudice, ma sta lì a vedere che succede!

        Tutto cambia quando sono me e quando roberto diviene l'espressione di me. Allora sento anche la consistenza del mio corpo, l'intensità e la nitidezza di ciò che mi circonda. Tutto diviene reale. Ma ciò che è difficile esprimere è la sensazione di essere me, anche se non ci fosse questo prolungamento di me che si chiama roberto.


L'unico amico che ricordo era Siluro a cui andavano le mie confidenze. Il cane comprende, ascolta, partecipa, ama e accoglie. Ecco perchè è facile amarli. L'ho trovato una mattina, agonizzante sui gradini di casa, con tre pallottole in corpo!

La grande lezione della vita è insegnarti ad amare senza attaccamento e per ottenere questo risultato bisogna passare per moltissime perdite di qualsiasi genere: animali, persone, cose, ideali, sogni, progetti. Questo è tutto ciarpame inutile. Ma lo si comprende verso la fine di quel nuovo inizio che chiamano morte.

 

I STANZA

Passeggiavo lungo i navigli di sera e guardavo le persone che sostavano all’aperto, sedute ai tavolini o sui marciapiedi. Quasi tutti erano giovani, molti erano fermi con la bottiglia di birra in mano, ragazze certe della loro bellezza, con le gambe abbronzate in primo piano e la sigaretta tra le dita, ragazzi con le spalle incurvate ed i jeans larghi. Ero molto attento alle atmosfere e sentivo una sensazione spiacevole. Quei giovani erano annoiati. Si respirava un’aria di apatia. Si vedeva che ciondolavano, che dovevano pur fare qualcosa. Alcuni non si sforzavano nemmeno di fare qualcosa. Stavano in gruppo, ma nessuno stava insieme. Ognuno era perso in un pensiero, come se volessero essere in un’altra storia, in un film diverso da quello che stavano vivendo.

        C’era qualche schermaglia che non potrei nemmeno definire amorosa. In alcuni punti c’era l’odore di pensieri di sesso, di desideri appiccicosi. Non era quel sesso bello, quello in cui ci si guarda negli occhi. Era libidine, quella con la bavetta all’angolo delle labbra, opaca, oppure di un rosso fango.

        In quei corpi sodi, in quelle gambe esibite, in quelle magrezze e in quelle grassezze pareva non esserci nessuno. Risa idiote, frasi sgangherate, discorsi di niente, smargiassate, pettegolezzi. Alcune ragazze si lamentavano con l’amica del comportamento di un’altra amica e qualche sfigato di turno stava a guardare mesto, sapendo di non poter assaggiare quelle carni.

        Ero triste. Sapete, dopo tanti anni di ricerca interiore sono ancora capace di essere triste. Ero triste per loro. Un poco anche per me; ricordando la mia giovinezza e tutti i momenti vuoti in cui ciondolavo anch’io. Ma dentro di me c’era comunque un piccolo fuoco, che stava lì ad aspettare, piantato in fondo al cuore come una lama e che mi salvava improvvisamente quando scendevo i gradini della miseria.

        Ora quando sono triste, osservo la mia tristezza, ne sono testimone e dapprima l’accarezzo col cuore e poi la faccio scivolare nella fiamma che nel frattempo è cresciuta; così si trasforma in una lieve commozione di esistere.

        Vorrei prendere quei giovani e rinchiuderli in un podere recintato e farli respirare tra le piante silenziose ed i suoni degli insetti. Una segregazione di una settimana per imparare dall’inizio la bellezza del corpo, dei flussi delle loro energie, degli sguardi che si aprono su altri sguardi. Vorrei che si svegliassero da questo lungo sonno. Almeno una prima volta vorrei che si accorgessero di essere vivi, per qualche istante indimenticabile.

A cosa serve vivere, se non si sa di vivere? Eppure appare così semplice quando per una grazia si ha il dono di un momento di piena consapevolezza. Si rimane stupiti, quasi attoniti. “Ma come, era tutto già qui?” Quando ci si sveglia il mondo è sempre lo stesso, eppure non è più lo stesso. Ci si accorge di aver girato intorno per anni illudendosi di stare cercando qualcosa che è sempre un passo più in là e che è qui, dentro, in attesa di un nostro cenno vero.

        Quanto ho cercato nella mia vita, quante meditazioni, quanti corsi, ritiri, gruppi di consapevolezza, quante tecniche; ma ciò che era sbagliato era l’atteggiamento. Avevo idee di esperienze sovrumane, di ineffabili trascendenze, di poteri da conquistare e non ricordo più di quant’altre folli fantasie. Come si beava il mio ego di questa ricerca, di questa immagine di me, solitario, con una lanterna, ad esplorare. Mi piaceva essere un’anima inquieta, faceva parte del fascino del personaggio.

        Eppure credo che questo sforzo, se pur mal diretto, costruiva piccoli tasselli di strada, preparava l’avvento di quella grazia. Dietro quell’affannarsi disordinato si nascondeva un intento sincero. Il mio cuore vegliava in profondità e attendeva che si realizzasse la condizione minima che rendesse possibile il piccolo varco nell’ego attraverso cui  far guizzare l’istante di Presenza.

        Ora guardo con tenerezza quel ragazzo e quell’uomo che si sentiva importante, mi fa sorridere la sua presunzione e ne colgo anche la sincerità. Non potevo fare diversamente, avevo a disposizione quelle risorse e cercavo di cavarmela e di sopportare i pesi, i vuoti e le paure che sin da piccolissimo mi facevano compagnia. Ma quei giovani sui Navigli sembravano avere già rinunciato! Ecco cosa mi rendeva triste.

        La nostra vita è congegnata in maniera tale che la sofferenza è normale; fa parte del pacchetto. Ma la sofferenza inutile, quella che alimentiamo, quella dell’ignoranza…quella no. Di molta sofferenza siamo noi i responsabili. Mai rinunciare a cercare. Meglio girare in tondo per tanto tempo, come ho fatto io, che gettare la spugna. Bisogna fare uno sforzo per scoprire che non ci vuole sforzo. Ma lo si comprende dopo; dopo avere impastato in ogni modo questa carne, queste emozioni, questa mente confusa e arrogante.

        E’ uno strano destino il nostro, come se ci fosse un progetto che ha il sapore dell’ironia: solo quando invecchiamo si inizia a capire qualcosa. Le forze diminuiscono, la vita è stata in gran parte vissuta e si sommano le azioni ignoranti, le scelte che non avremmo mai fatto, se avessimo saputo ciò che adesso sappiamo. Ma il paradosso è che proprio quegli errori ci hanno reso ciò che siamo. E’ una ruota della morte, un circuito spericolato in cui con stupido orgoglio proclamiamo di voler essere liberi, di decidere con la nostra testa. La sete di vita e di esperienze ci acceca a tal punto da non vedere che, spesso, molto spesso, proprio quando ci arroghiamo il diritto di essere liberi, non lo siamo. Decide la nostra pancia, i genitali, il cuore romantico e sognatore, la mente infarcita di idee del bene e del male, il sacro furore dei saldi principi…quante sciocchezze! Sciocchezze così disastrose e così paradossalmente utili che ci conducono su binari segnati, in nome della libertà.

Ma non può essere diversamente. Non possiamo che agire così come vuole il sistema. Non parlo del sistema politico e sociale, ma guardo ancor prima, alla genetica, agli istinti della belva a cui diamo giustificazioni dotte, retoriche o persino sdolcinate e sentimentali. Parlo del sistema-uomo, ricoperto di incrostazioni su ciò che è giusto e che vale. Allora cambiamolo, questo sistema!

        Ho combattuto tanto mio padre e le sue idee di buon senso. Eppure adesso mi rendo conto che in alcune cose mi passava delle piccole verità di vita, inascoltate. Quanta ribellione. Mi sembrava che i grandi non avessero capito niente. Ma è possibile? Solo io avevo capito? Solo i giovani sanno?

        Che padre diverso sarei stato, se avessi saputo ciò che so, se fossi diventato ciò che sono. Che figlio diverso sarei stato se avessi finalmente VISTO mio padre e mia madre nella loro umanità, nel loro tentativo di uscire dalla trappola e nel lor ancor più eroico impegno ad amarmi. Eroico, perché è facile amare quando si è liberi dal peso di se stessi; ma quando si è nel pantano di una vita a cui strappare un senso, con il cuore ricoperto dalle alghe, forzare uno spiraglio d’amore nella foresta del non amore è un’impresa da eroi. Credo che mio padre mi abbia amato più di mia madre, lui con i suoi silenzi, con le sue improvvise ire, lui distratto da desideri irreali, mi guardava quando non lo guardavo.

        Io li vedo i giovani, con la loro smania di libertà. Non si accorgono però che il loro diritto alla libertà manca di un passaggio importante, senza il quale è una sciocca pretesa: questo passaggio si chiama conquista. Non è un bene di consumo, non c’è nei supermarket, non è nascosta nel portafogli dei genitori, non si esprime nella droga, nello sballo beota, nelle numerose bottiglie di birra, nel dormire fino a mezzogiorno, nelle notti sature di suoni sempre uguali e di luci stroboscopiche. La notte semmai va vissuta per tornare a restare rapiti contemplando le stelle. Ogni piacere va centellinato, non può essere consumato, sciupato.

        La libertà ha un sapore sublime quando è il frutto di un intento inflessibile. Il sacrificio, lo sforzo, la determinazione nel realizzare il nostro progetto di vita, quelli sì che ci fanno sentire degni e appagati. Se tutti i giovani lo sapessero, come lo so io adesso. La nobiltà della lotta, l’esplorazione dei propri demoni, lo sporcarsi le mani nella terra, le nottate passate su un progetto, a leggere, studiare. Questa è libertà.

        Ma non c’è nessuna libertà, se non poggia sulla capacità di reggersi sulle proprie gambe, se non si costruisce un’autonomia, se non si creano strumenti per avere una funzione nella vita. Prima le fondamenta e poi in volo verso l’ideale.

La libertà dentro e quella fuori si danno la mano ad ogni istante. Vedo giovani che sono capaci di leggere con chiarezza la menzogna della vita sociale, ma invece di dotarsi di risorse per uscire dal sistema e provare a crearne un altro, restano impigliati nella loro protesta intessuta di fughe vigliacche, di lamenti, di depressioni. Sognano il famoso mondo migliore e attendono, come stracci gettati alla rinfusa. Gli anni passano ed escono dalla vita, loro che vogliono la vita.

        “Vorrei tanto vivere in campagna, nel verde, una vita più umana, più vera”, si dicono. Certamente, anch’io ho voluto e voglio questo. Alloro gli domando: “Benissimo. Siete agronomi, sapete coltivare un orto, sapete allevare del bestiame, sapete progettare una casa ecologica? Oppure avete le competenze per sensibilizzare sul  tema dello spreco, dell’ambiente, delle energie pulite, per pensare leggi migliori, per insegnare un giorno ad altri giovani nuovi valori sociali?” Se continuate a voler fuggire in India chi la costruisce la nuova società?

        Il potere si nutre della mollezza di tutti gli altri. Così gli ambiziosi, i pochi giovani rampanti, cresciuti nella logica del denaro, dell’ambizione, del mors tua vita mea, si arrampicano nei posti dove si decide e si pianifica. Loro se ne fregano delle vostre paturnie, dei vostri ideali ecologici sussurrati timidamente tra una birra e l’altra. Mentre voi vi consumate nelle sterili crisi esistenziali, protetti dalla casa che non è vostra, loro si laureano, prendono master internazionali, si mettono in politica e negli affari e continuano ad alimentare proprio quel mondo che non vorreste. Voi glielo permettete. In quei posti dovreste esserci voi, voi che avete ancora un cuore.

        La libertà si forgia dentro di sé, giorno per giorno, conoscendosi. Non ricordo nemmeno quante crisi esistenziali abbia avuto nella mia vita. Sono l’uomo delle crisi. Ma non lasciatevi trarre in inganno. Le crisi sono vere occasioni, ma diventano soltanto scuse, quando sono sterili. La crisi è un segnale d’allarme. I sensi diventano vigili come in una jungla. Ci si interroga, ci si mette alla prova, si inizia un percorso di ricerca di sé, ci si rimboccano le maniche. Il lavoro dovrebbe e potrebbe essere un gioco se prima è pensato, edificato come un ponte che ci unisce e ci collega al mondo. 

Avevo 17 anni quando scoprii che esisteva la psicologia e fu un colpo di fulmine. Ero veramente un ragazzetto stupido, imbevuto di fantasie romantiche, spaventato dalla vita, preda di ogni istinto. Ancora adesso, se ripenso alla scelta che ho fatto, mi domando come sia riuscito ad avere il coraggio di andare contro il volere di mio padre, e d’intraprendere qualcosa che era così indefinita. Nel 1967 non esisteva nessuna facoltà di psicologia, non c’era alcun albo, nessuna strada ufficiale tracciata. Diventare psicoanalista era una scommessa. Non c’era nessuna sicurezza. Eppure volevo realizzare questo sogno perché mi sembrava l’unico possibile per me, la sola cosa vera della mia vita in quel momento di crescita che, pure, era immerso nella confusione.

        Capivo però che dovevo dotarmi di qualche appiglio certo, di un titolo, di qualcosa che mi consentisse di dare forma nella realtà sociale al mio progetto ideale. Potevo iscrivermi a medicina, ma sapevo che per me sarebbe stato un suicidio, una scelta insostenibile. Invece optai per filosofia, una materia che pensavo potesse collegarsi alla ricerca di un significato dell’uomo. Subito mi resi conto che le materie che dovevo studiare erano per me completamente inutili e tediose. Leggevo libri d’esame che contenevano miriadi di parole senza senso, quasi impossibili da decifrare persino nel loro significato logico. Una noia, un’inutilità. Eppure decisi che dovevo portate a termine quegli studi perché sarebbero stato un mezzo, un supporto sociale, che comunque mi avrebbe consentito di avere una voce credibile, un riconoscimento funzionale allo scopo da realizzare, per dare una messa a terra al sogno della mia libertà e della mia espressione. Dunque mi tappai il naso e studiai con l’atteggiamento macchiavellico del fine giustifica i mezzi. Non mi piaceva studiare quelle cose, ma nel piano quel pezzo di carta era necessario. Poi lo avrei gettato via dalle mie spalle come un contenitore vuoto. Non avrei insegnato filosofia, soprattutto non quella filosofia intricata, con parole che si rincorrono per la gioia malata di intelletti ossessivi. Alla fine ero dottore agli occhi del mondo. Ero entrato nella regola per sovvertire le regole. Filosofia era il mio cavallo di Troia per entrare nelle linee nemiche a pieno diritto.

        Dentro di me sapevo di essere tutto tranne che quel dottore che gli altri immaginavano; ma lasciamoglielo credere. Nel frattempo però avevo studiato tutto ciò che amavo, tutti quegli autori che non trovavano spazio all’università, che addirittura non erano nemmeno conosciuti. Ma il mio piano era ben congegnato. Avevo scelto l’indirizzo psicologico in cui a stento c’era posto per Freud e in cui Jung era un extraterrestre. Dottore in filosofia con indirizzo psicologico e con tesi di laurea sugli Archetipi dell’Inconscio collettivo! Quell’indirizzo psicologico valeva oro per me e per lo sguardo distratto e formale del mondo culturale.

C’è una strada formale e una strada sostanziale. Sulla Terra la sostanza prende forma. Questa è la legge della materia, della vita, questa è la condizione dell’Uomo.

        Se l’Uomo non dà forma alla sua sostanza, non è incarnato e non contribuisce alla piena espressione di sé. La bellezza dell’uomo è che ha il potere di agire sulle cose, di dare sostegno al mondo offrendo le sue trasformazioni di coscienza e le sue opere, piccole o grandi, non importa, agli altri esseri umani. Anche i grandi Maestri agiscono ed incidono sulla trama della Terra, anche loro danno forma alla sostanza, pur se alcuni si ritirano in una grotta. Ma prima di ritirarsi esteriormente le loro azioni sono potenti, scuotono. Sono dei rivoluzionari. E pure nella grotta la loro azione sottile, al di la della nostra immaginazione, continua ad agire nella coscienza della Terra.

        Queste due strade, l’una specchio dell’altra, sono valide anche per noi, piccoli uomini, eroiche creature ancora sporche del fango della preistoria. Ogni giovane deve dare una forma alla sua essenza, deve dare voce alla sua indole, deve combattere per sé e per la Terra.

Questa legge vale per ogni piano, anche il più banale. Con la mia laurea, di cui avrei fatto tranquillamente a meno, mi ero dotato di una prima forma per dare vita alla mia sostanza, ovvero a ciò che amavo. La sostanza invece era costituita dalla mia formazione nella scuola reichiana di Federico Navarro. Whilelm Reich era un uomo che andava contro le menzogne con l’impeto di Savonarola…ma se lo poteva permettere perché si era laureato in medicina; anche lui aveva dato forma alla sua sostanza. Se non avesse agito così, sarebbe stato considerato soltanto un visionario e non avrebbe avuto nessun credito. Malgrado il titolo fu considerato così da molti. Ma senza il suo titolo non avrebbe potuto lasciare nessuna traccia. Essere psichiatra fino a un certo punto gli è servito, e' stato il suo cavallo di Troia


II STANZA

E’ cresciuta senza che me ne rendessi conto, così lentamente; non potevo accorgermene. Adesso è come se fosse salita di un’ottava e non è più una sensazione, ma una vera e propria vista: vedo la commedia delle persone. Quando dico “vedo” non sto usando una metafora. E’ così evidente e forte questo nuovo stato. Cammino per la strada e vedo marionette. Ogni tanto m’imbatto in persone vive. Le marionette sono del tutto inconsapevoli di non esistere. Parlano, convinte delle loro “buone ragioni”, completamente prese da se stesse, dalla rappresentazione continua della loro vita, recitata in ogni relazione.

        E’ così sconfortante all’inizio. Poi ci ho fatto l’abitudine e mi sembra di essere al circo. Soprattutto questa percezione si attiva quando assisto a conversazioni colte; quelle conversazioni in cui ognuno è tutto preso dalla sua saggezza personale, dal suo punto di vista (o di cecità) e con dialettica accattivante dispiega le sue argomentazioni con finto distacco, con finta obiettività, con vero sussiego, con vero compiacimento, con finta umiltà, con vera alterigia… e poi così e così e così…

        Da pochissimo si è attivata persino una certa amorevolezza che ha preso il posto di una sgradevole irritazione nell’assistere al torneo dei salotti, delle cene, delle riunioni.

        Là dove la menzogna è ancora più evidente è lo spazio dei confronti religiosi e spirituali. Mi ritiro in un angolo. So che non c’è niente da fare. Si parla di cose sconosciute, mai sperimentate, gonfiate ad arte. Cado ancora nello stupore; sono quasi affascinato dall’incredibile capacità di costruire interi edifici di niente.

Non dobbiamo sprecare l'Amore, quando lo incontriamo. L'Amore appare all'improvviso, senza regole ed avvertimenti. L'Amore non attende che noi siamo sensati, ragionevoli ed equilibrati. Egli si aspetta un "sacrificio" immediato in Suo nome. Che cosa aspettiamo, una volta che lo abbiamo trovato? La morte è ad un passo e stempera l'importanza dei nostri drammi inventati. Uscite dall'ignavia, abbracciate con coraggio l'Amore, lasciandovi alle spalle ciò che già non esiste più, ma che voi volete continuare a salvare da una fine ormai sancita. Quanto tempo ancora volete sciupare nell'attesa di "fare chiarezza", di superare i sensi di colpa, di mettervi la coscienza a posto! I cadaveri della vita vanno cremati e non imbalsamati. Lasciamoci alle spalle gli amori inventati, a cui restiamo aggrappati, gli amori stitici, anoressici, esangui, a cui continuiamo a dedicare la veglia funebre, una veglia che facciamo durare fino a diventare noi stessi cadaveri.

        Ma anche dobbiamo riflettere sul fatto che tutto ciò che chiamiamo non amore è frutto della nostra ignoranza. E’ l’ignoranza dei veri movimenti della Vita che comunque esprime aspetti del Divino fino alle estreme conseguenze. Quando riusciremo a vederesenza sovrapporre nessuna rappresentazione mentale, tutto ci apparirà perfetto. Anche i movimenti che sembrano distorti appartengono ad un processo evolutivo che esplora infinite possibilità e sono compiuti e nell’eterno presente dell’Essere.

Finché continueremo a chiederci cos’è giusto o sbagliato resteremo intrappolati nella nostra mente così sapiente e presuntuosa. Il nostro corpo non ne sa niente di tutto ciò e se ne frega completamente di ogni buon senso “civile”, “morale”, “spirituale”. Il nostro corpo sa cosa è vero, lo sente, se è vivo. Ma tutti i corpi morti che circolano per le vie delle nostre città e che si inventano di amare non conoscono il sapore fisico della verità, così poco ideale e così sublime nella suo scarno sapore.

Solo un corpo vivo è strumento di quello sguardo dell’anima che rende sua la materia e ne gode perché essa è la realizzazione solida del Divino di cui siamo cellule.

Ma qui nasce il conflitto, a volte lacerante, di me, piccolo Uomo, che sente la verità e lotta con la menzogna delle altre verità sociali, religiose e morali. La coscienza non conosce morale perché vive l’Unione; l’unica sua legge è l’Amore.

Quando il Cuore si apre, il corpo diventa la sua emanazione e sente la materia come un giardino di delizie che lo riporta continuamente all’essenza perché la Terra è divina e lo sono anche gli altri corpi, così misteriosi nei loro flussi di vita, nei loro umori, sapori e sguardi.

Bisognerebbe essere potenti guerrieri come Satprem. Io sono soltanto un apprendista, un pavido coraggioso, capace di momenti di gloria e il più delle volte soffocato dall’ignavia. Eppure so, sento, percepisco ciò che è vero e che la mente combatte con ogni astuzia. Angelo e demone, mi aggiro per la Terra, sorretto da un impulso che emerge da quello spazio del Cuore che rappresenta il primo sorriso dell’Uomo nuovo. Sono come un antropoide all’alba della nuova coscienza, non più animale, non ancora uomo.

Persino ciò che è chiamata spiritualità mi sembra una commedia di alcuni individui che si beano della loro finta umiltà e scambiano per esperienze di coscienza i loro raschiamenti mentali. Li vedo analizzare sapientemente misere esperienze sensoriali facendole diventare nobili scoperte. Anche loro non hanno corpi e la loro mente giganteggia credendosi sulla via della liberazione.

Preferisco il prigioniero che sa di essere in cella e non la rende speciale ad ogni costo di chi insegue una verità in una cella abbellita da ninnoli esotici. E’ valoroso chi definisce merda la merda e riesce ad includerla come realtà dell’istante.

Ho meditato nella sala con altri meditanti, sentendomi un idiota, perfetto nella mia idiozia, con lo stupore silenzioso di ciò che ascoltavo. Nella condivisione alcuni meditanti raccontavano la loro esperienza con parole di vacuità, espansione, spazio tra un movimento e l’altro…e non c’era nessun istante di Cuore. Sono sicuro che fossero in buona fede. Ma ciò è ancora più triste. Il compiacimento di chi non sa di compiacersi è la vera ignoranza.

Ho sempre più difficoltà di parlare, tranne quando le parole scaturiscono da uno spazio che non controllo con la mente. Sento il sollievo di essere niente e resto nella sospensione di una silenziosa attesa non cercata.


III STANZA

Anche la spiritualità è diventata una moda. Per molti non è una Via da seguire, ma una specie di occupazione per distrarsi dai loro problemi. Ed io assisto inorridito, privo di quel distacco che bisognerebbe avere, alla totale banalizzazione di ciò che per sua Natura è Sacro. Osservo persone realmente disturbate, piene di sé, arroganti, presuntuose, che con espressioni da predatori parlano di amore, di perdono, di compassione, di legami karmici, di unione....

Vedo il commercio che ruota intorno a questo, vedo personaggi ormai famosi, che si atteggiano a guru e più hanno seguito, più si fanno pagare. E poi ci sono le folle di adoranti che si bevono quelle "belle parole" e non percepiscono l'ipocrisia che c'è dietro, la manipolazione abile con cui sono raggirati.

Ho conosciuto recentemente un personaggio così; non mi stupisce lui. Lui fa i suoi interessi e sa giocare bene le sue carte, ma è tremendo vedere quanto gli altri lo guardino adoranti, completamente accecati, soggiogati.

A volte mi sembra di combattere contro i mulini a vento. La gente vuole sentire discorsetti rassicuranti, vuole una spiritualità da catechismo. Cerco di scoraggiare in tutti i modi coloro che vorrebbero fare di me un "santino". Ho orrore di questo meccanismo che Wilhelm Reich descrive benissimo nell' "Assassinio di Cristo".

La Via interiore è per pochi. So quanto si suda, quanti mostri bisogna affrontare per avere uno spiraglio di luce.  Conosco la miseria che si annida in ognuno di noi, spesso nobilmente travestita. La Consapevolezza è una spada affilata, spietata, che pochi sanno maneggiare. Mi esercito ogni giorno nell'arte della guerra e delle armi. Non mi risparmio nulla.

Ma sono pochi coloro che hanno un'aspirazione sincera.

Molti non comprendono che risvegliarsi è un'esperienza che conduce ad essere normali, naturali, semplici. Solo inizialmente, quando vivevo qualche minuto di presenza, tutto sembrava incredibile, e subito dopo ripiombavo nel mio sonno. Ma col tempo questa condizione mi dà la sensazione di essere "come è vero essere". È la meravigliosa naturalezza dell'esserci. La naturalezza non sminuisce assolutamente questo stato, ma evita il senso di essere speciali. Non elimina i dolori, se ci sono, la rabbia, se c'è, ma rende tutto reale e nitido. Ma tutti vorrebbero esperienze pirotecniche, supertrascendentali! È così stupendo invece il sublime sapore della semplicità. D'improvviso, magari camminando per le vie di Milano, sento una Gratitudine immensa unita alla commozione di esistere...di esistere e basta.










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