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Immagine del redattoreRoberto Maria Sassone

SPAZIO GNOSI

Aggiornamento: 27 dic 2024

Nell’intimo di ogni essere umano, nella sua Matrice divina, è nascosta e contenuta la GNOSI, la vera conoscenza.

Oltre la mente esiste il potere di coscienza supermentale o gnostico, che è eternamente cosciente della Verità.

La caratteristica peculiare dell'uomo è la mente. L'essenza tipica del superuomo sarà la supermente o gnosi divina. (Sri Aurobindo)


Spazio Gnosi è uno spazio sistemico che condensa la sintesi dei principi della Saggezza Perenne che, al termine della mia vita terrena, considero fondamentali per l'esploratore della Nuova Coscienza preannunciata da Sri Aurobindo e Mère.

Gnosi è Conoscenza, termine spesso adoperato da Sri Aurobindo.

Questo Spazio racchiude il mio piccolo contributo di ricercatore nella Via del Purna Yoga

In questa pagina web sinserirò e vilupperò gradualmente il mio modesto apporto alla GNOSI che ho chiamato Eliosophia.



Il sadhaka del Purnayoga si impegna a conoscere i testi sapienziali, i loro insegnamenti e le pratiche che essi offrono. La via della conoscenza non si può improvvisare sulla base di qualche superficiale insegnamento. La spiritualità non prevede spontaneismo, ma richiede umiltà, impegno, intento, azione, consapevolezza, coraggio e Fede ardente. (Sri Aurobindo)


Compagni di Via, desidero creare nella Cascina Valgomio, uno Spazio gratuito d'incontro per tutti coloro che sono in una Ricerca Interiore sincera, in cui metterò a vostra disposizione l'esperienza che ho maturato in cinquant'anni.

Saranno giornate in cui riunirci, sia per meditare insieme, sia per affrontare qualsiasi tema e quesito, inerente il vostro percorso interiore, sul quale vogliate un confronto, un chiarimento e un'indicazione.

Sempre più mi scrivono persone confuse su che scelta fare, su come procedere nelle loro pratiche e nella sadhana, oppure deluse da precedenti esperienze che le hanno turbate.

Questo Spazio è aperto a chiunque segua una Via spirituale e una Fede. Ogni Via spirituale è l'espressione visibile di un fiume sotterraneo di Conoscenza (Gnosi) che è conosciuto come Filosofia Perenne.

Chi pratica con disciplina e aspirazione, a qualsiasi Tradizione appartenga, realizza le stesse esperienze fondamentali di Coscienza. Meta è l'Unita.

È uno spazio gratuito in cui (a discrezione) si può fare un'offerta anonima in favore della Cascina. Ovviamente ci sarà una quota per i pasti e l'eventuale pernottamento.

Ho pensato, insieme a Raffaele di organizzare questi incontri il sabato e chi lo desidera può anche pernottare e fermarsi la domenica.

Credo molto in questa iniziativa e spero che anche voi ne comprendiate l'importanza e la sosteniate.

Il Centro di Armonia Valgomio è nell'Astigiano, un luogo di autentica quiete, con tanto verde.

VI PREGO DI SCRIVERMI IL VOSTRO RISCONTRO nei commenti a questo post o su Messanger e di dare un'occhiata al gruppo facebook MAGIA DI CASCINA VALGOMIO. Vi aspettiamo.


LA PRIMA DATA DELL'INCONTRO È SABATO 5 OTTOBRE 2024


Centro di Armonia, Raffaele Pezzo: 338 3880176

Cascina Valgomio - Frazione Barbaso - 14024 Moncucco T.Se (Asti)


HO CREATO ANCHE UN CANALE TELEGRAM CHE SI CHIAMA SPAZIO GNOSI.

Chi non vuole usare facebook può iscriversi a questo canale.


INTRODUZIONE


RINGRAZIAMENTI E RIFLESSIONI


CONFRONTO TRA VIE TRADIZIONALI


Una vita intera di personale ricerca interiore, sia nel campo psicologico che in quello spirituale, malgrado i miei limiti, emersi sempre più chiaramente col passare del tempo, mi ha però consentito di togliere molti veli che coprivano i miei occhi. Poco per volta ha preso forma la consapevolezza che siamo di fronte al crollo evidente dell'intera organizzazione umana così come si è costituita fino ad ora.

La finanza, la politica, l'educazione, la spiritualità, tutte basate sui pseudo-valori del potere, dell'accumulo, del consumo, del conflitto, della guerra e del benessere materiale, stanno crollando.

Credo che ormai questo processo sia inevitabile e faccia parte di un ciclo evolutivo che ha fatto il suo corso.

Il materialismo come visione della vita si basa sostanzialmente sul narcisismo egocentrato e sulla sua caratteristica di percepire ogni aspetto del mondo come separato. L'io egocentrato sente di essere separato da tutti gli altri individui, dagli animali, dalle piante, dalla natura, dalla Terra e dall'universo.

Nella percezione egoica ogni altro essere vivente diventa un oggetto e, come tale, può essere usato e sfruttato. Accumulare più potere possibile diventa quindi l'unica garanzia di sopravvivenza ed il potere stesso viene assunto come Valore assoluto.

Finché l'essere umano continua a vivere nella "coscienza separativa" non vi è a mio avviso nessuna possibilità di cambiare paradigma. Questo è il motivo per cui non credo più nell'efficacia di intervenire con mezzi politici ed ideologici. Ritengo invece che si debba intervenire nel campo dell'educazione interiore in maniera "pratica", fornendo insegnamenti e soprattutto "pratiche interiori" psicologiche e meditative (spirituali) che consentano di spostare gradualmente il centro d'identità dall'ego al Sé.

Ma questa non è una strada facile e, tra l'altro è attualmente molto contaminata. Chi sceglie la "via interiore" deve essere animato da una "retta conoscenza" e da un "retto intento", come insegnava il Buddha. Chi crede che la via interiore o spirituale, sia una passeggiata di benessere, si inganna. È una via eroica, che prende tutta la vita, è un via d'azione, una via pratica, che consiste nello smontare i condizionamenti, di visitare le ombre, di svelare la nostra menzogna, oltre a risvegliare un'attenzione consapevole, un testimone, che ci consenta di vedere gli inganni del nostro ego, fino al punto da iniziare a ritrovare nel silenzio e nella concentrazione, il "contatto" con la nostra "matrice spirituale" che Sri Aurobindo e Mère chiamano l'Essere psichico, la goccia divina che anima ognuno di noi, ma che nella maggior parte dei casi è completamente sommersa dal ciarpame del nostro egoismo.

La connessione con la "matrice interiore" cambia la coscienza, annullando la falsa percezione di essere individui separati.

Se ci si sente uniti a tutti gli esseri e ad ogni manifestazione della vita, scopriamo l'Amore, l'Unione; sentiamo di appartenere ad un più vasto Disegno e questa forte e dolce percezione di unione ci induce spontaneamente alla collaborazione e al Bene comune.

La via interiore non è consolatoria perché è una via di Sincerità e di Verità, ma secondo me questa è la nuova ed unica direzione futura del cambiamento sostanziale degli individui.

(Roberto Maria Sassone)



Compagni di Via, fedele alla visione integrale di Sri Aurobindo e Mère, la sintesi che propongo , a fronte di cinquant'anni di studio e di pratiche, esprime un approccio sistemico ed essenziale alla Gnosi e alle pratiche di meditazione e di attenzione consapevole che ho chiamato ELIOSOPHIA.

Dice Sri Aurobindo nella Sintesi dello Yoga che per arrivare ad una sintesi integrale "...bisogna trascurare le forme esteriori delle discipline yogiche ed ATTENERSI AI PRINCIPI ESSENZIALI CHE SONO COMUNI A TUTTE E CHE NE INCLUDONO I PRINCIPI PARTICOLARI, UTILIZZANDOLI AL PUNTO GIUSTO E IN GIUSTA PROPORZIONE". Pag. 44

Inoltre la natura spirituale opera in ognuno di noi "...secondo il temperamento dell'individuo nel quale agisce (...) e secondo gli ostacoli che questi oppone e che la Natura presenta per purificarli e perfezionarli. Perciò, in un certo senso, ad ogni uomo pertiene in questo cammino il proprio metodo yoga"

Voglio sottolineare che Sri Aurobindo usa il termine Yoga nella sua accezione più vasta di VIA DI CONOSCENZA O GNOSI.

Sulla base di queste affermazioni di Sri Aurobindo ho cercato di cogliere gli insegnamenti essenziali di alcune Vie iniziatiche, includendo gli insegnamenti del Buddhismo, del Cristianesimo originario ed ortodosso, del Sufismo e del Taoismo e proporre un percorso di Addestramento alla Ricerca Interiore.

Spazio Gnosi nasce con questo intento

Per spiegarvi ulteriormente il mio progetto e l'orientamento che lo anima riporto le parole di Sri Aurobindo:

"Il sadhaka dello yoga integrale deve ricordarsi che tutti gli shastra scritti (testi sacri), per quanto grande possa essere la loro autorità e largo il loro spirito, costituiscono solo l'espressione parziale dell'eterna Conoscenza. Si servirà perciò della scrittura, ma non dovrà mai legarsi ad essa, qualunque ne sia la grandezza". Pag. 55

"Più di ogni altro lo yoga integrale, la sintesi dello yoga, deve non essere legata a nessuno shastra, scritto o tradizionale perché, pur abbracciando la conoscenza tradizionale del passato, cerca di riorganizzarla per il presente e per l'avvenire. Una libertà assoluta di esperienze e di nuove formulazioni della conoscenza secondo combinazioni e termini nuovi è la condizione della sua formazione. Poiché tende ad abbracciare la vita nel suo insieme, la sua situazione non è quella del pellegrino che segue la grande strada verso la sua destinazione, bensì di un pioniere che apre un varco nella foresta vergine.

"Da lunghissimo tempo lo yoga si è allontanato dalla vita e gli antichi sistemi che tentarono di abbracciare la vita, come quelli dei nostri antenati vedici, sono ormai troppo lontani da noi; il loro linguaggio non ci è più accessibile e le loro formule non sono più applicabili. Da quell'epoca in poi l'umanità ha percorso molta strada sulla corrente eterna del tempo e, quantunque il problema resti lo stesso, il modo di trattarlo deve essere necessariamente nuovo". Pag. 56

Gli insegnamenti che troverete in questo spazio mediatico sono quindi attinenti a questa sintesi ed includono alcuni Maestri e Mistici che appartengono ad altre linee iniziatiche, ma che sono in armonia con gli insegnamenti di Sri Aurobindo e Mère.

Questo è il mio piccolo contributo a cui lavoro da una vita con sincera passione.


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LA QUIETE MENTALE


La quiete mentale è la base per iniziare a sviluppare una maggiore presenza consapevole ed anche Sri Aurobindo la considera il primo passo per iniziare il viaggio della conoscenza di sé.

Il Buddhismo, nelle sue varie scuole, fornisce secondo me l’insegnamento e le pratiche più efficaci per approfondire il silenzio mentale ed aprire spazi più vasti di coscienza ed è per questo che nell’Eliosophia privilegio le pratiche di meditazione Vipassana e Zen.

Ecco alcuni Maestri che ci possono aiutare a comprendere meglio questo argomento.


Achaan Chah, Il Sapore della Libertà, Ubaldini


“La pratica della concentrazione ha lo scopo di rendere la mente costante e stabile. Da qui nasce la pace mentale. Il Buddha ha insegnato: La vera felicità deriva da una mente disciplinata.”


“L’educazione della mente può seguire. …molti metodi diversi. Il metodo più utile e che può essere praticato da persone di ogni tipo è conosciuto come presenza mentale del respiro…. L’essenziale in questo tipo di meditazione è mantenere l’osservazione o la consapevolezza attimo per attimo. Nella meditazione camminata invece cerchiamo di concentrare la nostra attenzione sulla sensazione del contatto dei piedi con il suolo.

Per produrre dei risultati questa pratica deve essere eseguita con la massima continuità possibile. Non meditate per un po’ un giorno, per poi riprendere una o due settimane dopo…Non otterrete nulla…Non pensate a nulla, semplicemente osservate il respiro.”


“In primo luogo si disciplina la mente con l’attenzione al respiro. Quando la presenza mentale del respiro diventa una pratica costante che produce la quiete mentale, si parla di concentrazione.”


“La mente diventa torbida…perché insegue le impressioni mentali e si perde nei suoi stati d’animo.”


“Quando la mente non ha nessuno che si prenda cura di lei è come un bambino senza una madre o un padre che lo accudiscano. Un orfano senza protezione si sente molto insicuro. Se non ci si prende cura di lei, la mente sarà una vera fonte di preoccupazioni.”


“In questo tipo di pratica (meditativa) si utilizza il respiro come supporto fisico. Noi la chiamiamo anapanasati, ossia la presenza mentale del respiro. Facciamo della respirazione il nostro oggetto mentale…La sola cosa che dovete fare è fissare l’attenzione sull’inspirazione e l’espirazione. Non dovete fare altro che questo.

La mente sarà attraversata da altri pensieri, si intratterrà su altri argomenti e vi farà distrarre. Non preoccupatevi. Semplicemente riportate l’attenzione sul respiro.”


“Pratichiamo così finché la mente non raggiunge uno stato di pace e di quiete…Quando raggiunge la quiete la mente si ferma; si ferma su un solo oggetto, il respiro. È quello che si dice tendere alla quiete mentale per consentire l’emergere della saggezza.

Questo è il punto di partenza, il fondamento della nostra pratica. Cercate di dedicarvi a questa pratica ogni giorno, ovunque siate. A casa, in macchina, distesi, seduti, esercitate sempre la consapevolezza e la presenza mentale.”


“Ora che la mente è calma prendete come oggetto di meditazione il corpo ed esploratelo, portando l’attenzione dalla cima della testa fino alla pianta dei piedi.”


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Lettera di Sri Aurobindo a Barin


(Vedi il mio libro aperto: Le tappe fondamentali dello Yoga Integrale)

A questo punto abbiamo fatto insieme un lungo viaggio ed abbiamo molti elementi di comprensione del Purnayoga e del suo metodo. È giunto il momento d’inserire dei brani di una lettera che Sri Aurobindo scrisse a Barin, suo fratello minore, che getta un’ulteriore chiarezza sulle intenzioni di Sri Aurobindo nel proporre la Via dello Yoga integrale e ci mostra come esso si collochi su un’ottava superiore rispetto alla Tradizione precedente:

(7 aprile 1920)

"Mio caro Barin.

Ho ricevuto la tua lettera, ma fino ad oggi non sono riuscito a risponderti. Anzi è un miracolo che oggi possa star seduto qui a scriverti (…)

Parliamo prima di tutto del tuo yoga. Vorresti incaricarne me, ed io non chiedo di meglio, ma questo vuol dire incaricarne Colui che muove entrambi, te e me, apertamente o nascostamente, per mezzo della sua divina Shakti (Energia). Devi perciò sapere che come inevitabile conseguenza dovrai incamminarti per quella particolare strada che Egli mi ha ordinato di seguire e che io chiamo la Via dello Yoga integrale. Il punto da cui sono partito – quello che mi è stato trasmesso da Lelé (il guru tantrico che aveva incontrato nel 1908, tramite il quale realizzò il silenzio mentale ed il Nirvana) – era solo una ricerca della Strada, un giro d’orizzonte, una prima presa di contatto, un punto di partenza: prendere in mano o esaminare con rigore questo o quell’aspetto dei vecchi yoga parziali, sperimentandone a fondo (diciamo così) uno per poi passare a un’altro".

   "In seguito, una volta arrivato a Pondicherry, questa condizione instabile è finita. Il Guru del mondo che è dentro di noi mi ha dato tutte le istruzioni necessarie al mio cammino (…)

Ti scriverò in seguito in che consiste il cammino di questo yoga (…) Per il momento posso dire una cosa sola: il suo principio basilare è di armonizzare e di unificare la completa conoscenza con l’azione completa e con la completa Bakti (adorazione – devozione), innalzandole al di sopra della mente e infondendovi una completa perfezione sul piano sopramentale o Vijnana (Gnosi). Il difetto dei vecchi yoga consisteva nel fatto che, proprio perché possedevano la conoscenza della mente e dello Spirito, l’esperienza dello spirito si accontentavano di farla nella mente. Ma la mente riesce ad afferrare solo ciò che è diviso e parziale: non può assolutamente cogliere l’infinito e l’indivisibile. I mezzi di cui dispone per raggiungere l’infinito sono il Sannyasa (Rinuncia), il Moksha (Liberazione) e il Nirvana; altri non ne possiede. E in effetti chiunque può raggiungere il Moksha senza-forma; ma a che pro? Il Brahman, il Sé, Dio, comunque esistono sempre. Quello che Dio vuole dall’uomo è potersi incarnare quaggiù nell’individuo e nella collettività: realizzare Dio nella vita".

   "Le antiche strade yoghiche non sono riuscite ad armonizzare lo Spirito con la vita: al contrario hanno rinnegato il mondo, considerandolo Maya (Illusione) o un effimero Gioco. Il risultato è stato la perdita del potere di vita. (…) Alcuni sannyasin baraga (asceti) sono diventati santi perfetti e liberati, alcuni bakta (adoratori di Dio) si sono messi a danzare nell’estasi folle dell’amore e nella dolce emozione dell’Ananda (suprema Gioia); e poi un popolo intero è diventato amorfo, svuotato d’intelligenza, è precipitato nel tamas (inerzia). È questo l’effetto di una vera spiritualità? Certo che no! Anche se dobbiamo innanzitutto arrivare tutte le esperienze parziali sul piano mentale, lasciando che la mente venga inondata e illuminata dalla luce spirituale; dopo di che però bisogna andare oltre (…) Sul piano sopramentale l’ignoranza generatrice della dualità Spirito-Materia e della contrapposizione tra verità dello Spirito e verità della vita scompare. Lì non è più possibile parlare del mondo come Maya (illusione). Il mondo è il Gioco eterno di Dio, la manifestazione eterna del Sé (…) Corpo fisico, vita, mente e comprensione (conoscenza), Sopramentale, Ananda, sono questi i cinque piani dello spirito (…) Una volta raggiunto il Sovramentale è facile innalzarsi fino all’Ananda. Allora si acquisisce la solida base di uno stato di Ananda indivisibile ed infinito non solo nel Parabrahman (Assoluto) fuori dal tempo, ma anche nel corpo, nella vita, nel mondo. L’essere integrale (Sat), la coscienza integrale (Cit), la Gioia integrale (Ananda) sbocciano e prendono forma nella vita. È questa la chiave di volta del mio yoga, il suo principio fondamentale (…) Quando questa siddhi (realizzazione) sarà completa (in me), sono assolutamente certo che attraverso di me Dio farà avere agli altri la siddhi sopramentale con uno sforzo meno grande".

   "Non sono impaziente di avere successo in questo lavoro. Quello che deve succedere succederà al momento voluto da Dio (…) perché questo lavoro non è mio, è di Dio.

Prima è stata la volta del Vedanta: Advaita, Sannyasa, Maya di Shankara, eccetera. Adesso è la volta del dharma vishnuita: Lila, amore, ebbrezza dell’esperienza emotiva. Tutte cose vecchissime, inadatte all’epoca nostra, che non dureranno (…) Ma il merito del bhava (slancio) vishnuita è di mantenere un certo legame tra Dio e il mondo e di dare un senso alla vita (…) La tendenza al formarsi di tante sette, che tu hai notato, era inevitabile. È tipico della natura della mente cogliere una certa parte prendendola per il tutto ed eliminando tutto il resto (…) I discepoli (di queste sette) stanno lì ad intrecciare le loro coroncine. Lasciamoli fare. Le ghirlande si disferanno da sole quando Dio si manifesterà pienamente (…) Lasciamo la forza spirituale agire liberamente sotto qualsiasi forma e in tutte le sette immaginabili. Si tratta dello stadio infantile, embrionale, di un’epoca nuova”.

   “Io non ho fretta: lascio che ciascuno si sviluppi secondo la propria natura (…) Ogni essere si forma e si sviluppa dall’interno, io non voglio mettermi a costruire nulla dall’esterno (…) Quello che ho in mente è un Sangha basato sullo Spirito (…) ma basta che sull’impresa cada la minima ombra di egoismo perché il Sangha si tramuti in una setta. Può infiltrarsi con la massima naturalezza l’idea che questa o quella organizzazione rappresenti l’unico vero Sangha”.

   “Mi dirai: ‘Ma che bisogno c’è di un Sangha? L’importante è essere liberi. C’è del vero in questo ma è solo un aspetto della verità. Perché noi non abbiamo a che fare solo con lo Spirito privo di forma: dobbiamo anche governare il moto della vita. E senza una forma non può esserci nessun reale movimento. Se il Senza-Forma ha preso forma (…) non è stato certo per un capriccio di Maya (l’Illusione). Se esiste una forma è perché una forma è indispensabile. Noi non vogliamo escludere dal nostro campo d’azione nessuna attività del mondo. Politica, industria, società, poesia, letteratura, arte: tutte queste attività continueranno ad esistere, ma dobbiamo dare a ciascuna un’anima nuova e una nuova forma (…) All’inizio il Sangha non avrà una forma accentrata; coloro che ne condividono l’ideale saranno uniti, lavorando però in luoghi diversi. Più tardi potranno formare una specie di comunità spirituale e costituire un Sangha unitario”.

   “Considerare il corpo una carcassa è il segno del Sannyasa, della via del Nirvana. Con questa idea non si può vivere la vita del mondo. Bisogna invece sentire la gioia in tutte le cose, nel corpo come nello Spirito. Il corpo ha una sua coscienza, è la forma di Dio. Quando vedremo Dio in tutto quello che esiste al mondo (…) allora avremo raggiunto la gioia universale. E il flusso di questa gioia si precipita e si espande anche attraverso il corpo. In questo stato, colmo di coscienza spirituale, possiamo anche condurre una vita coniugale e vivere in mezzo al mondo”.

   “Nessuno è un Dio, ma in ogni uomo c’è un Dio e scopo della vita divina è manifestarLo. È una cosa che possiamo fare tutti, anche se riconosco che esistono adhara (recipienti) grandi e piccoli (…) Una volta che un recipiente, di qualsiasi natura, è stato toccato da Dio, una volta che lo spirito si è svegliato, che sia grande o piccolo non fa molta differenza. Ci potranno essere più difficoltà, ci potrà volere più o meno tempo, ma neanche questo è certo. Il Dio interiore non tiene in nessun conto questi ostacoli e carenze e si apre un passaggio nonostante tutto. Il Sadhaka (l’artefice) di questo yoga non è la nostra forza personale, ma la Shakti (Energia) di Dio”.

   “Noi facevamo la sadhana dell’Amore, ma quando non c’è né Conoscenza né Shakti, l’Amore non può durare e il suo posto viene preso da piccineria e meschinità. In menti ristrette e piccine non c’è posto per l’Amore (…) ecco perché non voglio più come basi né il fervore emotivo né una qualche ebbrezza mentale. Io voglio che il mio yoga si basi su una vasta e potente equanimità”.

   “Non ambisco ad avere centinaia di migliaia di discepoli. Mi basterebbe trovare un centinaio di uomini completi, purificati del piccolo egoismo, che siano strumenti di Dio. Non ho nessuna fiducia nel vecchio mestiere di guru. Io non voglio essere un guru”.



Sri aurobindo, la Sintesi dello yoga


"...Se il corpo è lo strumento previsto (dal Divino) per adempiere la vera legge della nostra natura, risulta che ogni avversione definitiva per la vita fisica è necessariamente un'avversione verso la totalità della Saggezza divina....Perciò una dottrina yoga che non vuol riconoscere il corpo o che fa del suo annientamento o del suo rigetto la condizione indispensabile di una perfetta spiritualità non è e non può essere uno yoga integrale". Pag.18

"Nell'uomo invece la vita corporea è una base, non un punto d'arrivo, la sua condizione prima, non la sua ultima determinazione". Pag 19

Partire dal corpo ovviamente non significa fare esercizi meccanici, ma portare la propria consapevolezza nel corpo, risvegliarsi ad un sentire più profondo, prendere contatto con esso con le numerose pratiche che sono a nostra disposizione. Ogni esercizio, ogni movimento, ogni sensazione è occasione per sviluppare un ascolto attento, intimo, accurato. Dall'hatha yoga, alla bioenergetica, alle lunghe passeggiate si può trarre una vera esperienza di presenza, se questi metodi sono usati come supporto di una concentrazione attiva, attenta e lucida e sono vissuti con una sacralità che li pervade.


"(...) bisogna riconoscere che l'individuo non esiste per sé solo, ma altresì per la collettività, e che la perfezione e la liberazione dell'individuo non è la sola intenzione di Dio nel mondo. Il libero impiego della nostra libertà comprende anche la liberazione degli altri e quella dell'umanità".

"Cominceremo così ad intuire lo scopo completo della nostra sintesi dello yoga".

"Lo Spirito è la vetta dell'esistenza universale; la Materia la sua base; la Mente il legame che li unisce. Lo Spirito rappresenta tutto ciò che è eterno, la Mente e la Materia sono le sue attività. Lo Spirito è tutto ciò che è celato e che deve essere rivelato, la mente ed il corpo sono i mezzi con i quali tenta di rivelarsi" . Pag. 33

Il Purna Yoga contiene questo principio che costituisce un caposaldo della Via: ogni sadhaka (ricercatore) compie ogni sforzo ed ogni acquisizione non soltanto per se stesso, ma per aiutare tutta la coscienza umana a progredire e ancor di più per il Divino, consentendoGli di manifestarsi nella Materia e nel Vivente. In sintesi ogni sadhaka è un catalizzatore, un ponte, tra il divino e la Vita in ogni sua forma, non solo umana.


"In pratica tre elementi sono necessari affinché lo yoga possa esistere; ci vogliono, per così dire, tre parti consenzienti allo sforzo: DIO, LA NATURA E L'ANIMA UMANA, o in termini più astratti, il TRASCENDENTE, l'UNIVERSALE e l'INDIVIDUALE. Se l'individuo e la Natura sono abbandonati a se stessi, l'uno resta incatenato all'altra e rimane incapace di superare in misura apprezzabile il flusso trascinante della Natura. È necessario qualcosa di trascendente., libero dalla Natura e più grande di essa, traendoci verso l'alto e inducendo spontaneamente o meno l'individuo all'ascesa. Pag. 35

"Non può esserci yoga della conoscenza senza un ricercatore umano della conoscenza, un supremo soggetto di conoscenza (...): nemmeno può aversi uno yoga della devozione senza l'amante umano di Dio,; non può esistere lo yoga delle opere senza un operatore umano, una Volontà suprema (...) ed un divino impiego individuale delle facoltà universali di potere e d'azione".

"Siamo costretti in pratica ad ammettere questa onnipresente trinità". Pag.36

Nella visione di Sri Aurobindo sono contenuti quindi questi tre principi che, pur inclusi nel principio di UNITÀ, sono compresenti in essa. Ma soprattutto è importante sottolineare come sia affermato il principio di individualità, come principio sostanziale, che ovviamente non ha nulla a che fare con la nostra personalità umana, ma con il jvatman, la matrice spirituale che anima ognuno di noi con differenti forme di sviluppo. Non viene negato il tutto è uno, ma, ma viene ampliato. Dice infatti Sri Aurobindo: "L'essenza dello yoga è il contatto della coscienza umana individuale con la coscienza divina". Pag 36


"Il metodo consiste nello stabilire una relazione diretta fra il purusha umano nel corpo individuale e il purusha divino che dimora in ogni corpo, ma che trascende tutte le forme e tutti i nomi". Pag. 37

A questo punto ritengo necessario fare un salto in avanti, riportando una definizione di purusha che Sri Aurobindo fa nelle Lettere sullo Yoga (volume IV) perché questo principio è il fulcro del Purna Yoga): "L'essere psichico, in sanscrito, può essere descritto come il Purusha (...) nel cuore o Chaitya Purusha, ma si deve intendere il cuore interiore o segreto, hrdaye guhayam, non il centro esteriore vitale emotivo. (...) E' l'essere psichico ad uscire dal corpo al momento della morte ed a persistere, il che pure corrisponde al nostro insegnamento secondo il quale è questo essere psichico ad uscire e a tornare, mantenendo un legame tra la nuova vita e quella precedente. (...) Il purusha nel cuore viene descritto da qualche parte come l'Ishwara (il Signore) della natura individuale. (...)"

"La presenza dell'essere psichico fa sì che l'individuo possa aprirsi al Divino e crescere verso la Coscienza divina, agendo sempre nel senso della Luce e della Verità, (...), operando su ciascun livello così da aiutare ogni piano a risvegliarsi alla verità ed alla Realtà divina (...)"

Avendo letto attentamente questi passaggi, si comincia a delineare qualche linea di orientamento per dar forma alla nostra sadhana: il sadhaka nel suo percorso deve inserire tutti questi aspetti nel suo progetto spirituale (corpo, mente, intelletto, amore ed opere) e purificarli e trasformarli all'insegna del Divino, adoperando tutti gli strumenti e le pratiche che ritiene capaci di agire su di essi. Ogni aspetto di se stessi fa parte del percorso. TUTTA LA VITA È YOGA. Ma voglio essere più specifico seguendo gli insegnamenti di Sri Aurobindo.



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Achaan Munindo, Libertà Inattesa, Ubaldini

Succede spesso di seguire l’insegnamento del Buddha con l’idea di liberarsi dai desideri della personalità, dalla rabbia, dalla sofferenza. É allora una sorpresa, quando all’improvviso, nel bel mezzo della lotta per ottenere o per disfarsi di qualcosa, il cuore si spalanca come una finestra, aprendoci la vista di un’inattesa libertà: la libertà d’incontrare pienamente noi stessi così come siamo, proprio in questo momento; la libertà di sperimentare totalmente tutte le situazioni e le emozioni che sembrano ostacoli alla nostra felicità, senza per questo dar loro credito o seguire il loro apparente messaggio….con quella consapevolezza spaziosa che accoglie il momento presente”. Pag 7

La nostra relazione col mondo cambia; il mondo rimane quel che è e che è sempre stato”.

“Talvolta l’insegnamento della presenza mentale viene frainteso, confuso con uno stato psicologico di non contatto e di separazione dall’esperienza.

È cime se si tirassero indietro e si osservassero vivere la vita….Molti occidentali avvicinano gli insegnamenti del Buddha dalla prospettiva di questa distanza dalla vita e sfortunatamente leggono gli insegnamenti sulla presenza mentale come se sfruttassero questa loro alienazione. Cercano di trasformare questo aspetto inadeguato della loro mente che osserva se stessa in una pratica spirituale. Ma non è questa l’indicazione; retta presenza mentale non significa essere separati dalla propria esperienza; significa che la sperimentiamo più pienamente e accuratamente, senza alcun impedimento”. Pag 37



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Achaan Chah, Il Sapore della Libertà, Ubaldini

"La pratica del Dharma non dipende dalla condizione di monaco, di novizio o di laico, dipende dal correggere il nostro punto di vista. Se il nostro punto di vista è corretto, raggiungiamo la pace."

(pag 130)

"La via d'uscita dalla sofferenza è proprio la meditazione. Per dirla in breve bisogna coltivare la presenza mentale. Presenza mentale significa accorgersi, essere presenti. In questo preciso momento a che stiamo pensando, cosa stiamo facendo? Cosa proviamo in questo momento? Osserviamo, siamo consapevoli di come stiamo vivendo?" (pag 138). In questo passo è chiaro che la meditazione di consapevolezza non è soltanto la pratica stanziale, seduti ad occhi chiusi, ma la pratica di consapevolezza e di presenza nella vita.

"Non separate le due cose (samatha e vipassana). La quiete (samatha) è il fondamento da cui nasce la saggezza (vipasana). Dire 'ora pratichiamo la meditazione di quiete, poi faremo quella di consapevolezza' non è proprio possibile." (pag 141)

"A un certo punto è come se ci fossero due persone: una nel mondo e l'altra sul Sentiero. Sono divise, si tengono separate. Ogni volta che il meditante indaga c'è questa separazione che continua a permanere, finché la mente non raggiunge la visione profonda o vipassana." (pag 152)

Questo passo è importante perché spiega con chiarezza la differenza tra l'osservatore che è un atto mentale d'indagine ed il Testimone che è piena presenza nell'esperienza.

"C'è chi raggiunge la bontà e si attacca ad essa, chi la purezza o la conoscenza e si attacca a quelle" (pag 153)

"Se ci si attacca alle convenzioni si dà immediatamente il via alle contaminazioni. Se riusciamo a liberarci dalle convenzioni, ad abbandonare le nostre opinioni, siamo in pace." (pag 159)

"...facciamo e poi lasciamo andare. Pratichiamo senza aspettarci niente, pratichiamo per lasciare andare." (pag 169)



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Achaan Munindo, Libertà Inattesa, Ubaldini

La rabbia

"...possiamo erroneamente credere che agire la rabbia in qualche modo ci sarà di beneficio.

Un modo utile di avere a che fare con la rabbia è vederla semplicemente come energia. È energia che va purificata e trasformata. Non è qualcosa di cui liberarsi o da sfogare. È qualcosa da comprendere e per farlo è anche necessario anche purificare la nostra relazione con essa. Il primo livello di purificazione è il contenimento o il controllo.

Un buon amico mi suggerì di considerare le visite a casa come il miglior barometro per la pratica in quest'area. Ogni volta che tornavo in Nuova Zelanda a trovare la mia famiglia non ci poteva essre sorgente più fertile per l'opportunità di contenere le reazioni emotive. Sembravano esserci illimitate occasioni d'indignazione. Mentre altri membri della famiglia che avevano avuto figli o guadagnavano molto denaro erano oggetto di lode e di riconoscimento, il fatto che io mi impegnassi da più di vent'anni con entusiasmo e coerenza nella vita di monaco rinunciante non riceveva alcun apprezzamento. Dentro sentivo la voce dell'indignazione dire: "Ed io? Non conta nulla che io abbia continuato ad alzarmi ogni mattina per dedicare la mia vita a tutti gli esseri senzienti e lavorare intensamente per aiutare gli altri?" (pag 73)

"Non mi interessa non provare mai rabbia; quel che è più interessante è essere libero di riconoscere l'energia delle mIe reazioni, esserne pienamente responsabile e non essere trascinato." (pag 74)

"Perdonare, come abbiamo spesso sentito, non significa dimenticare, ma significa non essere obbligati a sprecare l'energia del cuore nella negatività...Dalla prospettiva della pratica buddhista non c'è niente di sbagliato nella sensazione della rabbia. Nei discorsi del Buddha sulla consapevolezza del respiro ci viene insegnato a sentire quel che sentiamo, ma a sentirlo consapevolmente....sperimenteremo la libertà che viene dal non combatterla." (pag 74-75)

"La mente che tende a condannare compulsivamente nutre se stessa assumendo la posizione del giudice." (pag 77)


Accogliere ed includere ogni sensazione ed emozione senza giudizio.

"C'è nella mente una tendenza a prendere sempre posizione pro o contro le cose. È come un commentatore sportivo che continua incessantemente a dire 'questo è bello, questo è brutto, questo è giusto, questo è sbagliato, fai bene, ti stai prendendo in giro, dovresti essere così, non avresti dovuto farlo. È un flusso senza fine di 'dovresti'." (pag 83)

"Dicendoci 'non dovresti pensare così o sentire queste sensazioni' mettiamo degli ostacoli sul sentiero della conoscenza di sé. Stiamo in effetti inquinando la nostra consapevolezza." (pag 84)

"La frustrazione è un'amica della pratica". (pag 87)

"Che nessuno speri di trovare nella contemplazione una via di fuga dal conflitto, dall'angoscia o dal dubbio". (pag 95)

"Le sensazioni di interesse sessuale non vanno ciecamente controllate con la volontà né vanno bandite con l'abituale giudizio di giusto o sbagliato. Vanno invece pienamente ricevute con consapevolezza e sensibilità, quando si manifestano." (pag 96)

"Un'onda che s'increspa nell'oceano non cambia la natura dell'oceano; è naturale per l'oceano avere delle onde che lo attraversano. Ma l'onda non definisce la natura dell'oceano." (pag 101)

"Il desiderio o la malevolenza o la paura possono sorgere nella mente, ma noi resteremo sereni, fiduciosi e aperti mentre sediamo in consapevolezza; sorgono, sono presenti e poi hanno termine, ma non ne siamo disturbati." (pag 103)



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Achaan Sumedo, Consapevolezza Intuitiva, Ubaldini

La bellezza

"Rispetto alla bellezza trovo utile lasciarmi guidare dalla presenza mentale piuttosto che dall'attaccamento personale. Quindi con un bell'oggetto, una bella cosa, una bella persona, farsi guidare dalle reazioni abituali è pericoloso per via del desiderio di possedere, di avere per sé, del sentirsi attratti e farsi sopraffare dai desideri che nascono dal vedere la bellezza con gli occhi dell'ignoranza. Invece fare esperienza della bellezza con la presenza mentale consente di essere semplicemente consapevoli della bellezza. Ma se lasciate andare (la tendenza a volersene appropriare), la bellezza in sé e per sé è una gioia." (pag 33)

"Se sei troppo preso da quello che ti passa per la testa, dopo un po' nonfai più caso a quello che c'è fuori. Puoi trvarti nel posto più bello del mondo e non notarlo neppure." (pag 34)


La personalità

"Se credete di dover eliminare la vostra personalità perché è un'illusione, significa solo che siete vittima di un'altra illusione, quella che dice: 'Sono qualcuno che ha una personalità da eliminare: sono la personalità che dice che devo eliminare la mia personalità'. Così non se ne esce. È ridicolo. Non si tratta di eliminare, ma di conoscere.

Perciò siate una personalità, siatelo fino in fondo e di proposito, portatelo all'assurdo. È molto divertente. Portate la vostra personalità al punto della totale assurdità e ascoltatela.

Il nostro rapporto con tutto questo è comprendere, abbracciare, piuttosto che identificarsi. Non appena ci identifichiamo, abbocchiamo al minimo pensiero negativo....A quel punto con la consapevolezza freni subito e ti ritrovi al centro....Basta un semplicissimo gesto di attenzione e ti ritrovi al centro." (pag 42-43)

"Dovete imparare a fidarvi di voi stessi, della capacità di essere consapevoli, invece di pensare 'devo prima sviluppare i livelli di concentrazione profonda, devo prima purificare la mia moralità, devo prima superare i miei problemi nevrotici e i miei traumi per poter meditare davvero.

Non sto facendo affermazioni in merito ai 'si dovrebbe o non si dovrebbe', ma sto richiamando l'attenzione su una cosa di cui potete fidarvi, la consapevolezza qui ed ora." (pag 44)



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Corrado Pensa, L'Intelligenza spirituale, Ubaldini

"(Ci vuole una) paziente coltivazione della consapevolezza, ossia di un'attenzione che sia diretta, fresca, non giudicante e al tempo stesso partecipe, ossia unita e connessa con ciò a cui rivolge lo sguardo.

La nostra mente sovente associa il 'non giudicante' ad un atteggiamento distanziante e 'il partecipe' ad un modo di essere identificato, schierato." (pag 9)


"Se noi consideriamo la pratica un'insieme di attività (per esempio sedute formali e meditazione camminata) culminanti in un'esperienza idealizzata - l'illuminazione - dopo la quale la vita scorre libera e chiara, rischiamo di farci sfuggire l'essenza della pratica....Allorché ci rendiamo conto che la pratica meditativa più profonda è la coltivazionne di un atteggiamento e non la ricerca di un'esperienza speciale, allora tutta la nostra vita si apre ed ogni attività può diventare un veicolo di risveglio.

La pratica di consapevolezza è semplicemente la coltivazione dell'abilità d'incontrare qualunque cosa emerge di momento in momento con totale presenza e a cuore aperto. (pag 10)


"Molte emozioni hanno a che fare con i tre inquinanti (attaccamento, avversione, ignoranza) e come tali sono causa di sofferenza mentale. Perciò nel Dharma è il lavoro sulle emozioni che ha un posto centrale.

L'accettazione è la più alta forma d'amore. L'accettazione è un aspetto intrinseco della consapevolezza: consapevolezza non giudicante, quindi accettante."


"L'attenzione è un continuo ricordarsi del presente, un continuo risvegliarsi al presente." (pag 35)



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MÈRE NEL 1958 DICEVA QUESTE PAROLE PROFETICHE DI INAUDITA POTENZA E ATTUALITÀ

"....quella parte di umanità - della coscienza umana - in grado di unirsi al Sopramentale e di liberarsi verrà completamente trasformata; e avanza infatti verso una realtà futura non ancora espressa nella sua forma esteriore.

Quella parte di umanità che è invece vicina alla semplicità animale, alla Natura, sarà RIASSORBITA dalla Natura e assimilata del tutto in lei.                                                      

  "Non esisterà più la possibilità di una coscienza mentale, che è quanto consente la perversione, che rende così atroce la PERVERSIONE MENTALE. Quella scomparirà. Non ci saranno più cose del genere. C'era una visione improvvisa che comprendeva l'idea del riscatto, della REDENZIONE....L'idea che solo un atto di Fede in un intervento divino sia il mezzo di salvezza. Era l'idea della salvezza. Ho capito Cristo e la fede nel Cristo. L'ho capito e non solo in riferimento al cristianesimo, al peccato originale. Ho capito che cosa voleva dire il peccato originale e la redenzione attraverso la fede in Cristo". (Agenda di Mère, vol I, pag 168)

Ci sarà una separazione tra la vecchia e la nuova coscienza: "L'effetto sarà un poco simile a quello descritto aproposito del Giudizio Universale. È un'espressione completamente simbolica di qualcosa che discerne tra ciò che appartiene aL mondo della menzogna che deve SPARIRE e ciò che, pur appartenendo lo stesso a questo mondo d'ignoranza e d'inerzia, PUÒ PERÒ TRASFORMARSI. Uno andrà da una parte, uno dall'altra. Tutto quello che può trasformarsi s'impregnerà sempre più della nuova sostanza e della nuova coscienza fino ad ELEVARSI in quella direzione e farsi così tramite tra i due mondi.

 Ma tutto quanto appartiene incorreggibilmente alla menzogna SPARIRÀ. È stato predetto anche nella Baghavad Gita: le forze cosiddette avverse o antidivine capaci di trasformarsi saliranno, se ne andranno verso la coscienza nuova, mentre tutto quello che è irrevocabilmente aggrappato alla notte e alla cattiva volontà sarà distrutto, SPARIRÀ DALL'UNIVERSO. Certo tutta una parte dell'umanità che ha risposto in modo un pò troppo...entusiasta a queste forze, sparirà con loro. Ecco quanto è stato tradotto nel concetto popolare di Giudizio Universale". (Agenda di Mère, vol I, pag 186)

"Una cosa sembra evidente: l'umanità è arrivata ad un certo stato di tensione generale - tensione di sforzi, tensione di azioni, tensione persino nella vita di tutti i giorni - con un'iperattività così eccessiva, un'agitazione così generale, che la specie nel suo insieme sembra arrivata a un punto in cui è necessario o far esplodere le nostre resistenze ed emergere in una nuova coscienza, oppure ricadere in un abisso di oscurità e d'inerzia.

 È una tensione così totale e generalizzata che qualcosa deve per forza spaccarsi. Non può continuare così. Lo possiamo prendere come un segno certo dell'infusione nella materia di un principio NUOVO di Forza, di Coscienza, di Potere, che con la sua stessa PRESSIONE provoca questo stato critico. Esteriormente potremmo aspettarci che la Natura ricorra a quei vecchi espedienti coi quali è solita provocare uno sconvolgimento.

 Esiste però un fenomeno nuovo, riscontrabile con evidenza solo in un'élite, e questo fenomeno non è localizzato in un punto solo, in un certo luogo della Terra, ma mostra segni in tutti i paesi, su tutta la Terra: la volontà di trovare una soluzione nuova, PIÙ ALTA, ascendente, di fare uno sforzo per EMERGERE verso una perfezione più ampia, più comprensiva.

 Le due cose vanno di pari passo: la possibilità di una distruzione più grande e totale. di un'invenzione che aumenti spropositatamente la possibilità della catastrofe, di una catastrofe che sarebbe più massiccia di quelle che ci sonno mai state finora e allo stesso tempo il nascere, o meglio, il manifestarsi di idee e di volontà molto più alte e comprensive che, una volta intese, apporteranno un rimedio più profondo, più vasto, più completo, più perfetto di prima.

 Questa lotta o conflitto tra le forze costruttive di un'evoluzione ascendente, di una realizzazione sempre più perfetta e divina, e le forze sempre più distruttive - potentemente distruttive perché sono forze di una follia che sfugge ad ogni controllo - sta diventando sempre più evidente, visibile ad occhio nudo. È una sorta di corsa o di gara a chi arriverà primo.

 Sembrerebbe che tutte le forze avverse, antidivine , le forze del mondo vitale, siano scese sulla Terra e ne facciano il loro campo d'azione; e che al tempo stesso sia scesa sulla Terra anche una forma spirituale più alta, più potente, nuova, per portarvi una nuova vita.

 Questo rende la lotta più acuta, più violenta, più visibile, ma, pare, anche più decisiva; ecco perché possiamo sperare prossima una soluzione". (Agenda di Mère, vol 1, pag 187-188)

"Ci saranno altre conseguenze che grazie a un mezzo opposto tenderanno a far sparire quanto l'INTERVENTO DELLA MENTE nella Vita ha fatto sorgere di perverso e di laido. tutto quell'insieme di deformazioni che hanno aggravato la sofferenza, la miseria, la povertà morale, tutta quella zona di miseria sordida e ripugnante che rende una gran parte della vita umana qualcosa di orrendo. ECCO, TUTTO QUESTO DEVE SPARIRE.

 È questo che fa essere sotto tanti aspetti l'umanità infinitamente inferiore alla vita animale nella sua semplicità e nella sua naturalezza spontanea, così armoniosa, nonostante tutto. La sofferenza negli animali non è infatti mai sordida e miserabile come lo è in tutta quella parte dell'umanità pervertita da una mentalità INDIRIZZATA a fini egoistici.

 Bisogna andare al di là, innalzarsi verso la Luce e l'Armonia; oppure ricadere indietro, nella semplicità di una vita sanamente animale, non pervertita". (Agenda di Mère, vol I, pag 189)

"L'essere psichico è il rappresentante del Divino nell'essere umano. Ecco cos'è, capite? Il Divino non è qualcosa di lontano e inaccessibile: il Divino sta dentro di voi, soltanto non ne siete completamente coscienti....Lo psichico agisce ancora come influsso, più che come Presenza. Occorre che divenga una Presenza cosciente , alla quale ognuno possa chiedere in ogni istante....com'è che vede le cose il Divino.

(...) Solo che per ora tutte le vecchie abitudini e l'incoscienza generale ci impedisce di vederLo e di sentirLo. Bisogna toglierlo quel diaframma...bisogna toglierlo di mezzo.

Di solito ci vuole tutta una vita e a volte, per alcuni, una serie di vite.

(...) Per essere coscienti del vostro essere psichico dovete sentire, per una volta, la quarta dimensione, sennò non potete sapere che cos'è. (...) sennò stiamo nella menzogna: caos, disordine e oscurità....Ah la mente, la mente, la mente!

Sennò per essere consapevoli della vostra coscienza, siete costretti a mentalizzarla. Ed è spaventoso! Spaventoso!

(...) È la mente a impedirvi di sentirlo. Bisogna ESSERLO, capite? Voi mentalizzate tutto - tutto. Quella che voi chiamate 'coscienza' è un pensare le cose, ecco cos'è che chiamate coscienza. Invece non è affatto questa la coscienza! La coscienza deve essere di un'assoluta trasparenza e SENZA parole.

(...) Di solito lo psichico impiega diverse vite a formarsi completamente. È lui a passare da un corpo all'altro, ed è perciò che non ci ricordiamo delle vite trascorse: proprio perché non siamo coscienti del nostro essere psichico".

(Agenda di Mère, vol XIII - pag 380, 381)




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Sri Aurobindo, La Vita Divina, Ed. Mediterranee


"Perché il peso che grava sull'umanità è troppo grande per l'attuale piccolezza della personalità umana, per i suoi piccoli istinti mentali e piccoli vitali, perché l'umanità non può operare il cambiamento necessario, perché utilizza i suoi nuovi strumenti e la sua nuova organizzazione per il servizio. " dal suo antico sé vitale infraspirituale e infrarazionale, il destino della specie umana sembra precipitare pericolosamente, e con tanta impazienza, come nonostante se stesso, verso una prolungata confusione, una crisi pericolosa e l'oscurità di una violenta e commovente incertezza, spinta da un ego vitale preso da forze colossali che sono la portata stessa della magnifica organizzazione meccanica della vita e delle conoscenze scientifiche che ha sviluppato, una scala troppo grande per essere gestita dalla ragione e dalla volontà. Anche se si scopre che questa è solo una fase passeggera o un'apparenza, e se riusciamo a erigere qualche struttura tollerabile che consentirà all'umanità di continuare il suo viaggio incerto in modo meno catastrofico, non potrà che essere una tregua. Poiché il problema è un problema di fondamenta, e mettendolo, la Natura evolutiva nell'uomo si pone di fronte ad una scelta critica che un giorno dovrà risolvere nel vero senso se la specie deve raggiungere il suo obiettivo o addirittura sopravvivere. »

(Sri Aurobindo - La Vita Divina)



IN QUESTO SITO TROVERETE UN CONTRIBUTO IMPORTANTE:

La gnosi attraversa tutta la storia del pensiero umano, tutta la storia delle religioni, tutta la storia della ricerca spirituale.


“Rimane un punto da chiarire: il processo della caduta nell’Ignoranza. Abbiamo visto in effetti che nulla nella natura originaria della Mente, della Vita e della Materia obbliga ad abbandonare la Conoscenza. Abbiamo anche dimostrato che la divisione della coscienza sta alla base dell’Ignoranza: la coscienza individuale si separa da quella cosmica e trascendente di cui è tuttavia parte intrinseca e inseparabile; la Mente si separa dalla Verità supermentale…; la Vita si separa dalla Forza originale, di cui è un’energia, e la Materia dall’Essenza originale, di cui è forma e sostanza…”  In altri termini, è avvenuta la divisione dell’Indivisibile, un movimento per cui la Forza-Coscienza ha oscurato la propria luce ed abdicato al proprio potere producendo il fenomeno dell’Ignoranza.

            “…esiste tuttavia un aspetto che va esaminato immediatamente, ed è l’abisso che si è scavato tra la Mente come noi la conosciamo e la Coscienza-Verità supermentale di cui la Mente è all’origine un processo subordinato. Quest’abisso  è immenso,e se fra due gradi di coscienza non ci sono stadi intermedi, il passaggio da uno all’altro sembra estremamente improbabile, se non impossibile…” in un senso e nell’altro, cioè nell’involuzione e nell’evoluzione, dallo spirito alla materia e viceversa. La Supermente è la gnosi: possiede naturalmente la Verità, i suoi movimenti sono la Realtà, al contrario la Mente, potere dell’Ignoranza, giunge appena a rappresentazioni, a formazioni sfuocate e velate della Verità.  “…deve esserci da una qualche parte nella scala dell’Essere un potere ed un piano di coscienza intermedi … attraverso cui si è effettuata l’involuzione dalla Mente nella Coscienza alla Mente nell’Ignoranza, che rende comprensibile e possibile l’evoluzione inversa… Se queste gradazioni intermedie esistono, appare evidente che devono essere sovracoscienti alla mente umana la quale, al suo stato normale, non sembra aver accesso a questi stadi superiori dell’essere…” La normale coscienza umana sembra limitata ad una gamma, in analogia con i suoni od i colori, tutto ciò che è al di fuori di questa fascia “sensibile” viene considerato o non esistente o inserito in un indistinto “inconscio”. Solamente negli ultimi anni la psicologia transpersonale e la psicosintesi prendono in considerazione la possibilità di un sovraconscio con contenuti propri e accessibili.

            Esistono diverse possibilità e strade attraverso le quali la mente umana può andare oltre sé stessa, ponti per attraversare l’abisso. “…l’Intuizione è, secondo la sua stessa natura, una proiezione dell’azione caratteristica dei piani superiori nella mente d’Ignoranza…” E’ pur vero che non si verifica facilmente una pura intuizione, ma solitamente la mente la vela con i propri meccanismi e movimenti quello sprazzo puro di luce e conoscenza che proviene dall’alto. “…Tuttavia, il fatto stesso di questo intervento, e che dietro ad ogni pensiero originale o autentica percezione che abbiamo delle cose esista un movimento intuitivo, seppur velato o semivelato o appena velato, basta per stabilire un contatto tra la Mente e ciò che le sta sopra…” Un passaggio è possibile e viene aperto.

Un ulteriore passaggio, seppure rudimentale, è rappresentato dalla possibilità o volontà  della mente per superare le limitazioni dell’ego. “…L’impersonalità è il primo carattere del Sé cosmico; l’universalità, l’assenza di limitazione per un punto di vista unico o limitato, è il carattere della percezione e della conoscenza cosmica… I fenomeni d’ispirazione, di visione rivelatrice o di percezione intuitiva o di discernimento intuitivo…sono fatti positivi e la loro origine non lascia posto a dubbio alcuno. Ed esiste infine il dominio vasto e innumerevole dell’esperienza mistica e spirituale, e là le porte sono spalancate alla possibilità di estendere la nostra coscienza oltre i limiti attuali… ”

(Le frasi in grassetto sono di Sri Aurobindo)


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OLTRE IL NIRVANA

E, per potere agire ancora piú efficacemente, Sri Aurobindo decide di rivolgersi a uno yogi, un certo Vishnu Bhaskar Lelé, allo scopo di ricevere precise istruzioni sulla pratica yogica. Ma Sri Aurobindo intende chiarirsi con Lelé, e come prima cosa gli dice: «Intendo fare lo yoga per lavorare, per agire, non per rinunciare al mondo o per raggiungere il Nirvana». La risposta di Lelé merita di essere ricordata: «Non le dovrebbe essere difficile, essendo un poeta». Pertanto, fra un impegno politico e l’altro, e il quotidiano da fare uscire ogni mattina, Sri Aurobindo riesce a ritirarsi per tre giorni interi in una stanza con Lelé. Lasciamo che sia lo stesso Sri Aurobindo a raccontarci come andarono i fatti. «Lelé mi disse: "Siediti e medita, senza pensare. Osserva soltanto la tua mente, e vedrai arrivare i pensieri da fuori. Respingili prima che vi entrino dentro, finché la tua mente sarà capace di un silenzio totale". Mai prima di allora avevo sentito che si potessero vedere i pensieri arrivare nella mente dall’esterno. Ma non ho voluto sollevare obiezioni a questa verità o possibilità: semplicemente, mi sono seduto e ho fatto come lui mi diceva. In un attimo la mia mente è diventata silenziosa come l’aria in cima a una montagna senza un alito di vento: a quel punto ho visto un pensiero e poi un altro arrivare concretamente dal di fuori. Li ho respinti prima che entrassero e si imponessero al mio cervello; in tre giorni fui libero. Da quel momento l’essere mentale in me è diventato un’intelligenza libera, una mente universale non limitata dalla ridda dei pensieri personali come un’ape operaia nell’alveare dei pensieri, bensí un ricettore della conoscenza discendente dai cento reami dell’essere, libero di scegliere a piacimento in quell’impero sterminato di visione, in quella distesa illimite di pensiero. Il risultato dell’incontro con Lelé fu una serie di esperienze terribilmente potenti, di radicali cambiamenti di coscienza a cui non avevo mai neanche pensato prima di allora, e che anzi rappresentavano l’esatto contrario delle mie idee. Esperienze che mi fecero vedere il mondo, con stupefacente intensità, come un film in cui le forme vagavano nell’impersonale universalità dell’Infinito».

Di colpo, Sri Aurobindo viene afferrato in alto, in uno stato di totale assenza di pensieri e inghiottito nel Nirvana, com’era successo al Buddha, duemilacinquecento anni prima. Ecco come lo stesso Sri Aurobindo ci descrive questo stato, con quella sua penna mirabile in cui la prosa è sempre animata da un soffio di poesia che fa vedere: «D’improvviso fui proiettato in alto, in una condizione senza pensieri, incontaminata da qualsiasi moto mentale o vitale. Non c’era piú ego, nessun mondo reale — solo un ‘qualcosa’ che guardando attraverso i sensi immobili percepiva o sosteneva nel suo assoluto silenzio un mondo di forme vuote. Non c’era né l’Uno né i Molti: ma esclusivamente e assolutamente Quello soltanto, senza forma né rapporti, puro, indescrivibile, impensabile, assoluto, eppure assolutamente e unicamente reale. Non si trattava di una realizzazione mentale, no, niente astrazioni: ma di una realtà positiva, l’unica realtà positiva (anche se di un mondo fisico senza spazio) che pervadeva, occupava, o piuttosto inondava e sommergeva questa sembianza di mondo fisico, non lasciando luogo né spazio per nessun’altra realtà all’infuori di se stesso, non consentendo assolutamente a nient’altro di apparire reale, positivo o sostanziale. Ciò che portava era una Pace inesprimibile, uno stupefacente Silenzio, un infinito di liberazione».

Questo, dunque, costituisce il secondo passo capitale nell’esperienza di Sri Aurobindo: il nirvana. Sri Aurobindo, restando in quello stato, continua caparbiamente la sua attività rivoluzionaria — pronuncia anzi una serie di discorsi particolarmente ispirati, nei quali accende l’entusiasmo dei suoi compatrioti, come lo storico discorso di Bombay, avvenuto pochi giorni dopo essere uscito dalla fatidica stanza. Barin, il fratello di Sri Aurobindo, ricorda che quando questi chiese a Lelé come avrebbe potuto tenere un discorso restando in quello stato di assoluto vuoto mentale, lo yogi gli rispose: «Non è necessario pensare. Resti calmo e aperto, lasciando che ogni cosa venga compiuta dal potere superiore. Una voce sorgerà in lei, le farà da guida e parlerà attraverso la sua bocca». E cosí infatti avvenne. Durante il discorso, Sri Aurobindo si rivolge ai militanti nazionalisti con queste parole: «Cercate di realizzare la Forza dentro di voi, e di manifestarla in modo che, qualunque cosa facciate, non si tratti piú della vostra azione, ma dell’azione della Forza. Giacché non sarete voi ad agire, ma qualcosa che è dentro di voi. Cosa potranno fare tutti i tribunali e tutti i poteri del mondo contro Quello che è in voi, l’Immortale, il Non-nato, l’Imperituro, che nessuna spada può ferire, nessun fuoco può bruciare? Nessuna galera può tenerLo rinchiuso, nessun patibolo ucciderLo. Che avrete da temere, se sarete coscienti di Colui che abita dentro di voi?».

E, continuando la descrizione di quel particolare stato, Sri Aurobindo aggiunge, parecchi anni dopo: «Contemporaneamente, qualcos’altro da me, all’interno della mia coscienza, si incaricava di ogni attività dinamica e creativa, parlando e agendo attraverso di me, senza che io vi partecipassi minimamente, né col pensiero, né con alcuna iniziativa personale. Un ‘qualcosa’ che rimase ignoto anche a me, finché mi resi conto che ero venuto in contatto con l’aspetto dinamico della Realtà suprema. Allora capii che tale aspetto dinamico preesisteva all’esperienza, sia pure inconsciamente, e che appunto questo mi aveva spinto a intraprendere la disciplina yogica, proprio come era all’origine di ogni mia attività».

Sicché, lentamente, il nirvana si tramuta in qualcosa d’altro: ciò che la Gita indica come “il Nirvana nel Brahman”, ovvero il Divino nel suo aspetto Trascendente — una trascendenza che, stavolta, non esclude alcunché. Lasciamo nuovamente la parola a Sri Aurobindo: «Ho vissuto per giorni e notti nel Nirvana prima che questo stato potesse cominciare anche lontanamente a ammettere in sé altre cose o la minima modificazione. Ma alla fine esso incominciò a dissolversi in una Sovracoscienza piú alta e piú vasta. L’aspetto illusorio del mondo lasciò il posto a un altro, in cui l’illusione era solo un piccolo fenomeno di superficie che aveva dietro di sé un’immensa Realtà divina: un’immensa Realtà divina al di sopra e un’immensa Realtà divina nel cuore di ogni cosa. Una Realtà che prima sembrava solo un’immagine cinematografica, un’ombra e basta. Tuttavia, non si trattava di un ritorno alla prigionia dei sensi, né di una diminuzione o caduta dall’esperienza; anzi, era un costante ampliarsi e elevarsi nella Verità. Il Nirvana, nella mia coscienza liberata, si rivelò l’inizio della realizzazione, un primo passo verso la sua completezza, non l’unico compimento possibile né il suo culmine finale».

Sri Aurobindo va dunque al di là del nirvana, in una coscienza ancora superiore, che comincia a includere il mondo e a restituire a esso la propria verità, la propria realtà divina. Come osserva lo swami Siddheswarananda, «Sri Aurobindo afferma che se la teoria dell’illusionismo è spinta al suo estremo, questa stessa teoria diventa illusoria; la vita, dunque, è vera, non è un’illusione; è divinamente vera, pregna di una feconda verità».



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IL NOBILE OTTUPLICE SENTIERO


Da un discorso trasmesso da BBC Radio, il 4 febbraio 2003.

COME SAREBBE SE… contemplando i nostri pensieri, le nostre azioni e le nostre sensazioni, e osservando le loro cause e i loro effetti, potessimo stabilire agio e fiducia nella vita?

Come sarebbe se… senza credenze, senza opinioni o ideologie, potessimo comprendere come nascono le nostre tensioni e le nostre frustrazioni, e mettervi fine?

In ogni modo, visto che quella che stiamo vivendo è la nostra vita, è comunque il caso di dedicarci un po’ di attenzione. Perché non risvegliarsi completamente a ciò che accade, dentro di noi e intorno a noi?

Esplorando queste possibilità, milioni di persone in tutto il mondo utilizzano gli insegnamenti del Buddha. Alcuni rifuggono dal definirsi buddhisti, ritenendo che questa etichetta possa compromettere l’autenticità della loro ricerca. Da un punto di vista buddhista non c’è niente di male: la cosa fondamentale è ascoltare gli insegnamenti del Buddha, riflettere su di essi, metterli in pratica e coglierne i risultati. Questi insegnamenti, che sono chiamati Dhamma, possono essere paragonati a delle medicine, e ciascun praticante può scegliere la medicina di cui ha bisogno, in relazione al problema di cui necessita la cura. Ma ciò che unifica gli insegnamenti del Dhamma è che sono tutti aspetti delle Quattro Nobili Verità, cioè dukkha (la sofferenza), la sua origine, la sua cessazione e il percorso che conduce alla sua cessazione. Questo percorso è chiamato il Nobile Ottuplice Sentiero.

Gli otto fattori di questo Sentiero sono: Retta Comprensione, Retta Aspirazione, Retta Parola, Retta Azione, Retti Mezzi di Sostentamento, Retto Sforzo, Retta Consapevolezza e Retta Concentrazione. Fornirò più avanti maggiori dettagli su questi fattori, ma la cosa più importante è che essi costituiscono un modo di vivere. Non sono concetti filosofici, credenze o descrizioni di una verità ultima o di una qualche divinità. Essi conducono al Risveglio alla Verità Ultima, ma non la definiscono. La grande realizzazione del Buddha è che l’esperienza della verità ultima non è altro che la cessazione di dukkha, la sofferenza. E dukkha, sia essa depressione, ansia, frustrazione o un più generale senso di inutilità, riguarda tutti noi, nel qui ed ora delle nostre vite. Non è una questione di credenze. E nemmeno bisogna credere, nel Buddhismo, che ci sia una cosa come “la liberazione” o come “la Verità Ultima”: metti fine alla sofferenza e alle tensioni, e conoscerai la verità da te stesso.

L’approccio buddhista privilegia l’esperienza diretta; e in questa prospettiva la prima cosa cui prestare attenzione è quale sia l’origine dei nostri dolori più profondi, così come del nostro più sicuro senso di benessere. Le circostanze, come le malattie o la fortuna, vanno e vengono; ciò che rimane sono le nostre condizioni interne: il senso di fiducia e di pace, o, invece, il disagio e la rabbia che ci corrodono il cuore. Se raggiungiamo la pace della mente, possiamo sopravvivere ai momenti più difficili, ma il senso di colpa, la rabbia o la depressione possono riempire di nuvole la giornata più serena. Un miliardario o un re possono essere assediati dal malessere e dalla sfiducia. Mentre un monaco senza un soldo, come il Buddha, può risiedere nell’agio e nella realizzazione. La sofferenza e la sua cessazione sono nella nostra mente e nel nostro cuore.

Mente e cuore: siamo consapevoli che sono influenzati dall’esperienza e a sua volta l’influenzano. Il Buddha spinge a prestare attenzione a questa consapevolezza, nel momento in cui si mettono in pratica i suoi insegnamenti. In un dialogo, il Buddha incoraggerebbe questo tipo di domande: come ti sentiresti se qualcuno abusasse di te, o uccidesse i tuoi amici o parenti? Questo provocherebbe sofferenza, oppure no? E com’è quando invece ti trattano con generosità e con gentilezza? E se ti comporti in un modo piuttosto che nell’altro, qual è il comportamento che produce degli effetti che ti fanno star meglio? Così, usando la tua saggezza, come è meglio che ti comporti? Procedendo con indagini come questa, il Buddha ha delineato il suo insegnamento, il Dhamma.

Per me, come per molti, il Buddhismo è iniziato con la meditazione. Mi ero appena laureato, avevo un sacco di idee e un sacco di domande sulla vita. Prima di intraprendere una qualche carriera, volevo capire cosa volessi veramente. E come raggiungerlo. Così ho viaggiato per un po’, provando questo e quello, e dopo qualche anno andai verso oriente, per confrontarmi con un percorso di ricerca spirituale. Alla fine, in Thailandia, capitai ad un incontro di meditazione, che veniva tenuto in inglese. Mi sembrò che valesse la pena di provare. L’incontro si teneva in un monastero buddhista, in una stanza dove c’erano alcune stuoie e poco altro. La stanza era illuminata da una lampada, collocata vicino all’insegnante, che sedeva di fronte a noi, accanto a una finestra. Era un occidentale, e indossava l’abito ocra dei monaci buddisti. Essendo un monastero che si trovava ai tropici, non c’erano vetri alle finestre, e così molti insetti, attratti dalla luce, entravano nella stanza. Alcuni di questi insetti, delle formiche volanti, presero a svolazzare intorno al monaco, ma notavo che lui, mentre parlava, non era affatto distratto dalle formiche che gli ronzavano intorno, e solo di tanto in tanto ne scostava con gentilezza qualcuna dal viso, appena sembrava che corresse il pericolo di entrargli in bocca. Non si agitava per nulla, allontanava gli insetti con una grande consapevolezza della loro fragilità, senza perdere il filo del discorso. Nella stessa situazione io avrei ucciso parecchie di quelle formiche, mi sarei molto irritato per la mancanza di vetri alle finestre, e avrei senz’altro dimenticato quello che stavo dicendo. Ma la tensione che mi avrebbe preso, l’avrei prodotta io stesso: le formiche volanti in effetti non erano questo gran problema. Si trattava solo di rispondere con consapevolezza alle sensazioni prodotte da evento esterno, piuttosto che reagire in maniera scomposta. Quella fu un’ottima introduzione alla meditazione, e in un senso più ampio, al Sentiero buddhista.

In parole povere, l’Ottuplice Sentiero riguarda l’etica, la meditazione e la comprensione. Applicato a quell’incontro di meditazione nel monastero buddhista, significava non uccidere le formiche volanti, rimanere con ciò che stava accadendo, e reagire con consapevolezza, lasciando andare la tensione. In teoria era molto facile, ma capivo che avevo proprio bisogno di un po’ di pratica. La meditazione ci conduce dove siamo più sensibili, che è proprio dove tendiamo a reagire in modo cieco. Per rispondere con chiarezza all’esperienza, dobbiamo fissare delle linee guida. Il fondamento di queste linee guida è la Retta Comprensione.

La Retta Comprensione è il riconoscimento che quello che facciamo è importante. Non viviamo in un universo predeterminato, le nostre azioni hanno degli effetti. Possiamo essere fonte di beneficio o di sofferenza per noi stessi e per quelli che ci sono vicino. E non si tratta tanto di una obbligazione morale. E’ che se sviluppiamo la chiarezza e la gentilezza, possiamo vivere con una mente chiara e gentile. Se invece manteniamo il pregiudizio e l’indifferenza, diventeremo più limitati e insensibili. Possiamo agire con chiarezza ed essere in pace con noi stessi, oppure possiamo agire in maniera compulsiva, e rimanere intrappolati. Perché la compulsione porta a comportamenti ripetitivi, e alla perdita di ogni autorità. La Retta Comprensione significa riconoscere che l’integrità deve essere il centro della propria vita. E ciò genera una grande forza.

La Retta Aspirazione, anche detta Retta Intenzione, deriva da questa comprensione della legge di causa ed effetto. Significa far propria l’intenzione di realizzare effetti salutari con il corpo, la parola e la mente, e di evitare gli effetti non salutari. Questo è il fondamento degli insegnamenti sull’azione, o kamma, come è chiamato nel Buddhismo, di cui l’intenzione mentale è l’agente. Siccome le azioni del corpo e della parola procedono dagli stati mentali e dalle emozioni, se riusciamo a mantenere la chiarezza nella nostra mente e nel nostro cuore, possiamo anche agire da una posizione di equilibrio, e siamo in grado di discernere i risultati delle nostre azioni. Questo è il caso della Retta Parola e della Retta Azione. Abbandoniamo gli inganni, rifuggiamo dal prendere ciò che non ci appartiene, evitiamo la violenza, e invece coltiviamo l’onestà e le parole che hanno valore. I Retti Mezzi di Sostentamento consistono nell’evitare determinate attività come il commercio delle armi, la prostituzione, la macellazione degli animali. Più in generale questo fattore riguarda il modo in cui condividiamo la vita gli uni con gli altri. La nostra relazione con gli altri influenza profondamente la nostra mente, e per questo in diverse occasioni il Buddha ha dato grande importanza alla relazione moglie-marito, al modo di essere genitori, a norme di mutuo supporto tra lavoratori e datori di lavoro, così come ai benefici dell’amicizia.

Per me questi aspetti del Sentiero sono stati tutt’uno con la decisione di passare un periodo di ritiro in un monastero e, in seguito, con la decisione di intraprendere il percorso monastico. E così come la moralità e la meditazione, anche l’amicizia assume una grande importanza. L’insegnante e gli altri monaci sono gli amici che ti sostengono nella pratica con la loro compagnia; i fedeli laici sono gli amici che provvedono all’incoraggiamento, così come al cibo e al sostentamento dei monaci e delle monache. Dall’altra parte la comunità monastica sostiene la comunità laica con gli insegnamenti e con l’esempio. E’ una micro-società basata sul mutuo rispetto, sulla compassione e sulla generosità.

La Retta Comprensione, il Retto Sforzo e la Retta Consapevolezza sono alla base di ogni altro fattore del Sentiero. Facciamo l’esempio della Retta Parola: si inizia con la Retta Comprensione, riconoscendo che il modo in cui si parla influenza gli altri. Possiamo portare qualcosa di valore nella mente di chi ci sta vicino, con un’osservazione appropriata, o possiamo invece rovinargli la giornata. Possiamo rimanere nel disagio e nella sfiducia, o invece risiedere nell’apertura e nella pace della mente. Da qui il Retto Sforzo, che significa l’impegno a guidare le proprie azioni; mentre la Retta Consapevolezza implica l’essere pienamente con quello che facciamo e diciamo, e con le sue conseguenze. E il risultato è che evitiamo la sofferenza e partecipiamo a qualcosa che produce un beneficio immediato. Questo è il processo dell’intero Ottuplice Sentiero.

La consapevolezza e l’ultimo fattore del Sentiero, la Retta Concentrazione, ci conducono nel campo della meditazione, della coltivazione della presenza mentale. Questi fattori sono spesso ciò che colpisce di più nel Buddhismo, perché forniscono un potente mezzo di approfondimento della propria vita interiore, offrendo la possibilità di raggiungere una grande serenità, una grande gioia, e la pace incondizionata che viene chiamata Nibbana. E l’approfondimento inizia e si mantiene con la presenza mentale, che consiste nell’essere semplicemente e puramente presenti a quello che succede.

Se torno indietro a quel primo incontro di meditazione, in Thailandia, ricordo che il monaco ci diede qualche consiglio su come sedere eretti, in uno stato di attenzione rilassata, e su come iniziare a prestare attenzione alle sensazioni che accompagnano il processo del respiro. Ricordo che non riuscivo a seguire più di uno o due respiri, prima che la mia mente riprendesse a vagare, a fluttuare su un’onda di speculazioni, di ricordi e di analisi. Ogni momento dovevo riportare l’attenzione al respiro, e riuscire a mantenercela per qualche secondo, prima che una nuova marea di pensieri la sommergesse. E del resto questo è più o meno quello che capita normalmente nella meditazione di un principiante. Nonostante questo, quello che mi colpì profondamente era il fatto che stessi osservando la mia mente. E questo, stranamente, portava pace, e mi rassicurava anche: in qualche modo non dovevo comprendere nulla al di là dei miei pensieri, o al di là della mia mente. Era qualcosa che semplicemente succedeva. E allora: se io stavo osservando la mia mente, chi ero io? E di chi era quella mente?

Il Buddha ha sempre detto che a domande come queste non c’è risposta. Qualsiasi cosa possiamo pensare o dire di essere, è solo un altro evento che passa attraverso la nostra mente. Il punto è che c’è sempre questa presenza mentale, e tutto ciò che la attraversa è in continuo cambiamento, e non è ciò che siamo. Ma più ci centriamo su questa presenza mentale, magari facendovi aiutare da un punto focale, come la sensazione del respiro, più possiamo sentirci stabili, e vedere le cose chiaramente. Possiamo lasciar andare gli impulsi e le sensazioni che sorgono, oppure, come ho imparato più tardi, possiamo focalizzarci su di esse e lasciare che la stabilità della consapevolezza le riduca ad armonia. Che è quello che succede. E’ così: con la pratica possiamo mettere fine alla continua lotta con il nostro corpo e con i nostri stati d’animo, e questa condizione inizia a pervadere il nostro corpo e il nostro stato d’animo, calmando l’uno e l’altro. Prestare attenzione al momento presente è consapevolezza, e il risultato, una stabilità che pervade il corpo e la mente, è la concentrazione, o samadhi. Samadhi non è una stato che in qualche modo dobbiamo produrre, ma piuttosto una condizione di unità, centrata e piacevole, che sorge come risultato della Retta Comprensione, del Retto Sforzo e della Retta Consapevolezza.

Anche se la pratica della presenza mentale e della concentrazione porta un grande rimedio, in termini di liberazione dal dolore, dalle preoccupazioni e dagli stati d’animo ossessivi, c’è un ulteriore sviluppo: la comprensione che libera il praticante dalla sorgente stessa della sofferenza. Questa comprensione, chiamata visione profonda, ci permette di cogliere la natura effimera di quello che accade, e nello stesso tempo ci mette in contatto con una presenza che è invece stabile e affidabile, e cioè la consapevolezza stessa. Provando tutto ciò, piano piano, si produce inavvertitamente un cambiamento: il nostro centro muove verso la pura consapevolezza. Nella vita di tutti i giorni, partendo da questa consapevolezza, possiamo agire con compassione e con chiarezza, e, nella meditazione, possiamo lasciar placare tutti gli eventi, e stare in una presenza luminosa e senza ostacoli. Questo conduce al Nibbana, il compimento dell’Ottuplice Sentiero. E se si arriva a provarlo, anche per un solo istante, non si è più presi dalla smania o dall’apatia; non c’è frustrazione, non c’è necessità di difendersi, non c’è niente da provare. E’ semplicemente la fine della sofferenza e della tensione.

Per me, personalmente, questa è la migliore opportunità che la vita possa offrire. Ma, come raccomandava il Buddha, sta a ciascuno di noi di sperimentarlo da se stesso.

Vorrei dedicare tutti i benefici che possano sorgere da questo discorso al mio primo insegnante, Phra Alan Nyanavajiro.

 

AJAHN SUCITTO



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THICH NHAT HANH – SAMATHA NELLA MEDITAZIONE HA 4 FUNZIONI: FERMARSI, CALMARE, RIPOSARE E GUARIRE


La meditazione buddhista ha due aspetti, samatha e vipaśyanā. Si tende ad accentuare l’importanza di quest’ultima, dell’osservazione profonda”, che può portarci a grandi intuizioni e liberarci dalla sofferenza e dalle afflizioni. La pratica di șamatha (“fermarsi”), però, è di importanza fondamentale: se non ci sappiamo fermare, non possiamo avere alcuna comprensione risvegliata. Negli ambienti zen si racconta una storiella su un uomo e un cavallo: il cavallo galoppa veloce, e pare che l’uomo che lo cavalca debba andare in qualche posto importante. Un’altra persona, lungo la strada, gli grida: «Dove stai andando?» e il cavaliere risponde: «Non lo so! Chiedi al cavallo!». Questa è anche la nostra storia: stiamo cavalcando un cavallo, non sappiamo dove stiamo andando e non ci possiamo fermare. Il cavallo è la forza dell’abitudine che ci spinge in una certa direzione, senza che noi si possa fare niente: corriamo sempre, e correre diventa un’abitudine. Combattiamo tutto il tempo, anche durante il sonno. Dentro di noi c’è la guerra, ed è facile che questo faccia scoppiare una guerra con gli altri.

Dobbiamo imparare l’arte di fermarsi: fermare i pensieri, le abitudini, la tendenza a dimenticare, le emozioni forti che ci condizionano. Quando un’emozione imperversa dentro di noi come una tempesta, in noi non c’è alcuna pace: accendiamo la televisione e poi la spegniamo; prendiamo in mano un libro e poi lo mettiamo giù. Come fermare questo stato di agitazione? Come fermare la paura, la disperazione, la rabbia e il desiderio? Possiamo fermarli praticando il respiro consapevole, camminando in consapevolezza, sorridendo in consapevolezza, guardando a fondo per capire. Quando siamo consapevoli, in contatto profondo con il momento presente, i frutti sono sempre la comprensione, l’accettazione, l’amore e il desiderio di alleviare la sofferenza e portare la gioia.

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Spesso però le nostre abitudini sono più forti della nostra volontà; spesso diciamo e facciamo cose che non vorremmo, e poi ci dispiace; facciamo soffrire noi stessi e gli altri, e il risultato è una quantità di guai. Perché? Perché siamo spinti dalla forza delle abitudini (vāsana).

Abbiamo bisogno dell’energia della consapevolezza per essere ben presenti a noi stessi e riconoscere le abitudini, per poter fermare questo moto distruttivo. La consapevolezza ci mette in grado di riconoscere la forza dell’abitudine ogni volta che si manifesta. «Ciao, forza dell’abitudine, so che sei lì!» Se solo le sorridiamo, perderà molta della sua carica. La presenza mentale è l’energia che ci permette di riconoscere la forza delle nostre abitudini e impedisce loro di dominarci.

L’assenza mentale è il suo opposto: beviamo una tazza di tè, ma non sappiamo che stiamo bevendo una tazza di tè. Sediamo in compagnia della persona che amiamo, ma non ci accorgiamo della sua presenza. Camminiamo, ma non stiamo camminando davvero: siamo da qualche altra parte, immersi in pensieri sul passato o sul futuro. Il cavallo della forza del l’abitudine ci porta via con sé, e noi siamo in sua balia. Dobbiamo fermare quel cavallo e reclamare la nostra libertà. Dobbiamo far risplendere la luce della consapevolezza su ogni cosa, così che il buio dell’assenza mentale si dissolva. La funzione primaria della meditazione, samatha, è fermarsi.

La seconda funzione di samatha è calmare. Sappiamo che potrebbe essere pericoloso agire quando siamo in preda a una forte emozione, ma non abbiamo la forza o la chiarezza per non farlo. Dobbiamo imparare l’arte di inspirare ed espirare, fermare le nostre attività e calmare le nostre emozioni. Dobbiamo imparare a diventare solidi e stabili come una quercia, a non lasciarci squassare dai venti di tempesta. Il Buddha ha insegnato molte tecniche per aiutarci a calmare il corpo e la mente e a guardarvi dentro in profondità. Queste tecniche possono essere riassunte in cinque stadi:

  1. Riconoscimento. Se siamo arrabbiati, dire: «So che in me c’è rabbia»,

  2. Accettazione. Quando siamo arrabbiati, non negarlo. Accettare quello che c’è.

  3. Abbraccio. Prendere in braccio la nostra rabbia come una madre tiene in braccio il suo bambino che piange. La consapevolezza abbraccia l’emozione e già questo, di per sé, può calmare la nostra rabbia e noi stessi.

  4. Osservazione profonda. Quando siamo abbastanza calmi, possiamo guardare in profondità per capire che cosa abbia provocato questo accesso di rabbia, cosa stia provocando disagio al nostro bambino.

  5. Comprensione risvegliata. Il frutto dell’osservazione profonda è la comprensione delle tante cause e condizioni, primarie e secondarie, che hanno prodotto la nostra rabbia, che stanno facendo piangere il nostro bambino. Forse ha fame. Forse lo punge la spilla da balia sul pannolino. La rabbia si è scatenata dentro di noi, quando un amico ci ha parlato in maniera meschina, ma poi di colpo ci siamo ricordati oggi non è nella sua forma migliore perché suo padre sta morendo. Riflettiamo in questo modo finché non abbiamo un’intuizione sulla causa della nostra sofferenza: la comprensione risvegliata ci indica che cosa fare e che cosa non fare per cambiare la situazione.

La terza funzione di samatha, dopo quella di calmare, è il riposo. Immaginiamo che una persona in riva a un fiume vi lanci dentro un sassolino: questo si lascerà affondare lentamente e raggiungerà il letto del fiume senza alcuno sforzo. Una volta sul fondo, il sasso vi rimarrà, in quiete, lasciando che l’acqua gli scorra sopra. Quando pratichiamo la meditazione seduta possiamo concederci un riposo simile a quello del sasso; possiamo permetterci di affondare naturalmente nella posizione seduta e riposarci, senza alcuno sforzo. Dobbiamo imparare l’arte del riposo, consentendo il riposo al corpo e alla mente: se sono feriti, in qualche modo, il riposo è necessario per permettere loro di guarirsi.

Calmarsi permette di riposare, e riposare è una condizione fondamentale per la guarigione. Quando vengono feriti, gli animali della foresta si trovano un posto dove giacere in riposo completo per svariati giorni. Non pensano né al cibo né ad altro: riposano soltanto, e in questo modo ottengono la guarigione necessaria. Quando noi esseri umani ci ammaliamo, non facciamo altro che preoccuparci! Cerchiamo un dottore e prendiamo le medicine, ma non ci fermiamo. Anche quando andiamo in vacanza al mare o in montagna non ci riposiamo affatto e torniamo indietro più stanchi di prima. Dobbiamo imparare a riposare. Stare sdraiati non è l’unica posizione per il riposo: durante la meditazione seduta o camminata ci si riposa molto bene. La meditazione però non deve essere un duro lavoro: lascia solo che il corpo e la mente si riposino come un animale della foresta. Non combattere. Non c’è proprio niente da ottenere. Io sto scrivendo un libro, non sto combattendo; mi sto anche riposando. Per favore, leggi in modo gioioso ma rilassato. Il Buddha ha detto: «Il mio Dharma è la pratica della non-pratica». Pratica in un modo che non ti stanchi, anzi che dia al tuo corpo, alle tue emozioni e alla tua coscienza la possibilità di riposare. Il nostro corpo e la nostra mente hanno la capacità di guarire se stessi, se consentiamo loro di riposare.

Fermarsi, calmarsi e riposare sono condizioni preliminari per la guarigione. Se non ci possiamo fermare, la nostra distruzione continuerà il suo corso. Il mondo ha bisogno di guarire. Individui, comunità e nazioni hanno bisogno di guarire.



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I PERICOLI DEL SAMADHI

Achaan Chah, Il Sapore della Libertà, Ubaldini


"Per il meditante il samadhi può essere o molto dannoso o molto vantaggioso.

Quello che può rivelarsi più dannoso per il meditante è il samadhi dell'assorbimento (jhana) che è caratterizzato da una quiete profonda e prolungata. Questo samadhi dona una grande pace. E dove c'è pace, c'è felicità. Dove c'è felicità nascono l'attaccamento e la tendenza a dipendere dalla felicità. Il meditante non vuole contemplare nient'altro, ma solo indulgere in quella piacevole sensazione.

Dopo un lungo periodo di pratica, potremmo aver raggiunto la capacità di accedere al samadhi molto rapidamente. Non appena cominciamo a rivolgere l'attenzione al nostro oggetto di concentrazione, la mente si immerge nella quiete e a noi non va proprio di uscirne fuori per indagare su qualcosa. Ci fissiamo sulla felicità e basta. Questo è un pericolo per chi pratica la meditazione.

È opportuno ricorrere all'upacara samadhi. In questo caso ci immergiamo nella quiete e poi, quando la mente è sufficientemente tranquilla, ne usciamo per rivolgere l'attenzione all'attività esterna, ossia alle impressioni sensoriali. Guardare all'esterno con una mente tranquilla produce saggezza. Questo è difficile da capire perché sembra molto simile all'ordinaria attività discorsiva e fantastica. La presenza di un'attività discorsiva può far pensare che la mente non sia tranquilla, ma in realtà quell'attività ha luogo all'interno della quiete. C'è un'attività contemplativa che però non compromette la quiete. Si può stimolare la discorsività per farne oggetto di contemplazione. In questo caso la stimoliamo per renderla oggetto d'indagine, non è che ci mettiamo a pensare o a ragionare a vuoto; è qualcosa che emerge da una mente tranquilla.

Questo stato si definisce di 'consapevolezza nella quiete e quiete nella consapevolezza'. Se si trattasse di ordinaria attività discorsiva o fantastica, la mente non sarebbe tranquilla, sarebbe agitata....Si può definire contemplazione. La saggezza nasce proprio da qui."


"Il samadhi sbagliato è quando la mente si immerge nella quiete e manca del tutto la consapevolezza. Si può restare seduti per due ore o per tutto il giorno senza che la mente sappia dove è stata o che cosa è successo.....È una quiete illusoria perché non c'è consapevolezza di sé. Il meditante può credere di essere già arrivato alla meta, perciò non si dà la pena di cercare altro. A questo livello il samadhi può diventare un nemico. La saggezza non può emergere perché manca la consapevolezza di ciò che è giusto o sbagliato (discernimento)."


"Al retto samadhi, a prescindere dal livello di quiete raggiunto, si associa la consapevolezza. Si associano una piena presenza mentale e una chiara comprensione. Questo è il samadhi che può far nascere la saggezza senza il rischio di perdercisi dentro. I praticanti intendano bene questo punto. Non si può fare a meno della consapevolezza, deve essere presente dal principio alla fine. Un samadhi di questo tipo non presenta pericoli."


"Una mente capace di saggezza non se ne va in giro a piluccare. In ogni posizione siamo pienamente consapevoli dell'origine della felicità e dell'infelicità. Le lasciamo andare entrambe, non dipendiamo da nessuna delle due. Questa è la Retta Pratica che è presente in tutte le posizioni. Quando dico in tutte le posizioni non mi riferisco solo al corpo, ma anche alla mente che in ogni circostanza è capace di attenzione e di chiara comprensione della verità."


"Ci sono due tipi di pace, una grossolana ed una sottile. La pace che deriva dal samadhi è di tipo grossolano. Quando la mente è tranquilla c'è felicità. Allora la mente crede che questa felicità sia pace. Ma felicità e infelicità significano nascita e divenire. Non c'è liberazione dal samsara in questo perché ancora dipendiamo da entrambe. Quindi la felicità non è pace, la pace non è felicità.

L'altro tipo di pace è quella che deriva dalla saggezza. In questo caso non confondiamo la pace con la felicità....La pace che scaturisce dalla saggezza non è felicità, ma è ciò che vede la verità tanto della felicità che dell'infelicità. Non c'è dipendenza da questi stati perché la mente li trascende.

È questo il vero obiettivo della pratica buddhista.



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Il Nuovo Potere

Satprem – Carnets d’une Apocalypse – libro 3 – 19 marzo 1983


"Per me, così come lo capisco, tutte queste manipolazioni hanno un solo senso: la discesa, l’infiltrazione e l’impregnazione della coscienza materiale del nuovo Potere.

E’ questo che fa il lavoro e che sa ciò che c’è da fare – noi non sappiamo niente.

Gli effetti di questo Potere:

1) purificazione del subcosciente e di tutte le vecchie impronte, reazioni, abitudini della coscienza materiale, corporale. E’ il “bozzolo nero”. Ciò tritura tutto questo magma colloso.

2) Più questo purifica, più la rete si scolla, e di conseguenza, è l’allargamento di coscienza materiale che ritrova la sua unità con la Materia. Il corpo “puro” si scopre del suo mantello individuale – un mantello di Menzogna. E’ il falso corpo mortale che può a poco a poco far sì che il vero corpo si infiltri e lo invada.

3) L’effetto ultimo (o il più prossimo) deve essere il risveglio della coscienza cellulare: lo splendore che è all’interno. Tutto ciò che è in alto risveglia tutto ciò che in basso. Allora il lavoro si farà automaticamente dall’interno, dall’interiorità del corpo.

Sarà l’inizio della supermentalizzazione con i suoi effetti sconosciuti.

Lo strumento del Lavoro:

non ne conosco che uno: il Mantra di Mère. E prima di tutto questa meravigliosa sillaba OM, magica, come un lampo di luce, che sale in modo molto dritto e va ad aprire le chiuse del Supermentale o del nuovo Potere. E’ veramente l’invocazione al Supremo. E’ la Risposta meravigliosa.

E poi l’abbandono totale, senza paura: lasciarsi portare dal Potere come un fuscello – lasciar fare, soprattutto lasciar fare, non “orientare” mai l’esperienza. La passività totale con aspirazione intensa del corpo: essere per Te. E’ tutto. Se si è per Te in modo puro, tutto il resto scorre.

Il nome di Sri Aurobindo è anche un Mantra meraviglioso.



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(A cura di Ivo Bernasconi)


Nel 1935 Sri Aurobindo scrive a Nirodbaran: "Esistono stadi diversi di trasformazione. Il primo è la trasformazione psichica, nella quale tutto entra in contatto col Divino attraverso la coscienza psichica (coscienza dell'anima). Poi viene la trasformazione spirituale, in cui tutto si fonde con il Divino nella Coscienza cosmica. Il terzo stadio è la Coscienza supermentale, con la quale tutto si supermentalizza nella divina Coscienza gnostica.

Nessuno può realizzare la realizzazione senza aver conseguito la realizzazione spirituale.

Quella psichica è la prima delle due trasformazioni necessarie - la trasformazione facilita immensamente l'altra, vale a dire la trasformazione della coscienza umana comune nella Coscienza superiore e spirituale."

Mère nel 1955 scrive: "Si deve anzitutto trovare la propria anima - è una cosa assolutamente indispensabile - e poi identificarsi con essa. In seguito si può procedere verso la trasformazione (...) Non si può eludere questo punto, non è possibile".

Nella Vita Divina Sri Aurobindo scrive: "Questo è il primo passo della realizzazione di sé: insediare l'anima, l'individuo psichico divino, al posto dell'ego".

Nel 1956 Mère scrive: "La vera vita spirituale ha inizio quando ci si trova in comunione con il divino nello psichico. quando si è coscienti della Presenza divina nello psichico ed in costante comunione con Esso. ALLORA comincia la vita spirituale, non prima - la VERA vita spirituale."

Nel 1957 ripetè con forza: "....vi ricorderò quanto Sri Aurobindo ha detto, ripetuto, scritto, confermato e ribadito di continuo: che il suo yoga, lo Yoga Integrale, non può avere inizio che DOPO tale esperienza (la realizzazione dell'anima), non prima. Di conseguenza non ci si deve cullare nelle illusioni ed immaginare di poter cominciare a sapere cosa sia la Supermente o formulare su di essa un'opinione qualsiasi, per quanto minima, prima di avere avuto QUESTA ESPERIENZA".

Nel luglio 1970 Mère fece questa scoperta: "Sarà proprio l'essere psichico a materializzarsi e a diventare l'essere supermentale. (...) È l'essere psichico, cioè il rappresentante del Divino nell'uomo, la cosa che resterà, che passerà nell'altra specie", dirà nel 1972. "Perciò bisogna imparare a centrare tutto l'essere intorno allo psichico. Quelli che vogliono passare alla superumanità, beh, devono sbarazzarsi dell'ego e concentrarsi attorno all'essere psichico".

In un messaggio scritto di suo pugno il 24 giugno 1972 si legge:

"È indispensabile che ciascuno trovi il suo essere psichico e si unisca ad esso definitivamente. È attraverso l'essere psichico che la Supermente si manifesterà".

Per questo tutto il mio lavoro è volto all'apertura dello "spazio del Cuore", perché in esso c'è l'accesso all'essere psichico, alla nostra essenza interiore, alla Goccia divina che già siamo (R.M.S.)

(Questi brani sono tratti dal libro di Georges Van Vrekhem, "Oltre la Specie Umana", Casa Editrice Irradiazioni.)



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Tulku Urgyen Rinpoche, Il Risveglio, Ubaldini

"La mente ignorante afferra gli oggetti, forma concetti su di essi, quindi rimane coinvolta e impigliata nei concetti che ha creato. Questa è la natura del samsara e continua da innumerevoli vite fino al momento presente.

Tutti questi coinvolgimenti non sono altro che false creazioni; non sono lo tato naturale. Si basano sui concetti di soggetto e oggetto, chi percepisce e ciò che è percepito. Tale struttura dualistica costituisce...le forze che ci conducono da un'esperienza samsarica all'altra. Nondimeno c'è sempre la natura fondamentale (della mente) che non è fatta di nulla. È totalmente increata e vuota e nel medesimo tempo è consapevole: ha la qualità di poter conoscere. Questa unità indivisibile di vuoto e conoscenza è la nostra base originaria che non viene mai meno (pag 27)


"Il punto chiave segreto della mente è che la sua natura è una spontanea sveglia presenza originaria". ( pag 28)


"A meno che non ci liberiamo del pensiero concettuale, è assolutamente impossibile porre fine al samsara e risvegliarsi all'illuminazione." (pag 29)


"Se non ci fosse una mente o coscienza collegata ai cinque sensi, gli organi sensoriali di per se stessi non sperimenterebbero niente (...) In questo mondo non c'è nulla che sia più essenziale della mente, eccetto una cosa: la natura di questa mente, la natura del Buddha. Tutti gli esseri senzienti hanno tale natura, senza una sola eccezione; essa è presente in ognuno, dal Buddha fino al più minuto insetto (...) La natura del Buddha è identica in tutti gli esseri.

Dunque dobbiamo distinguere la mente dall'essenza della mente. L'essenza della mente degli esseri senzienti e la mente risvegliata del Buddha sono identiche.

Il samsara continuerà all'infinito a meno che il pensiero non cessi (...) La mente è vuota." (pag 34)


"Il Buddha conosceva una tecnica per eliminare il pensiero. È questo lo scopo dell'istruzione sull'indicazione diretta data da un maestro qualificato (...) La mente comune pensa soprattutto ad essere contro qualcosa, attaccata a bqualcosa, oppure rimane istupidita, senza preoccuparsi di nulla. Ciò crea karma negativo in modo automatico". (pag 37)


"L'indivisibilità di vacuità e conoscenza è una qualità naturale.

"Dal punto di vista dell'essenza della mente le interruzioni dei pensieri sono come nuvole in cielo." (pag40)

"Aderire al pensiero è la struttura dualistica della mente. Non aderire al pensiero è la sveglia presenza spontanea.


"Gli insegnanti dicono: 'Adesso meditate', allora uno si siede e pensa che dovrebbe immaginare la vacuità. Non è questo il senso, pittosto vuol dire non divagare, non divagare. Ascoltando la parola 'meditare' sembra che ci sia qualcosa da fare. Ma non c'è assolutamente nulla da fare che sia un atto di meditazione."


"LA SUPREMA MEDITAZIONE È NON MEDITARE". Rimani senza immaginare nulla, senza meditare su niente" (pag 41)


"Quando dici 'io sono' è soltanto la mente che esprime un concetto". (pag. 42)


"Un uomo comune è un essere che ha un corpo umano e sembra umano.

Se quella vita non è congiunta ad una via spirituale, i suoi scopi non sono differenti da quelli di un animale (...) Infine c'è la conoscenza acquisita grazie alla pratica della meditazione, ossia l'esperienza personale tramite l'allenamento". (pag 44)



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Shunryu Suzuki-roshi, Mente Zen, mente di principiante, Ubaldini


Introduzione di Richard Baker:

"La pratica della mente zen consiste nella mente di principiante. L'innocenza della prima domanda, 'che cosa sono io?' è indispensabile in tutta la pratica zen, dall'inizio alla fine. La mente del principiante è vuota, libera dalle abitudini dell'esperto, pronta ad accogliere, a dubitare, e aperta a tutte le possibilità. È il tipo di mente che può vedere le cose così come sono". (pag 11 - Richard Baker)


"Non è la straordinarietà del maestro a creare nello studente perplessità curiosità e profondità, anzi è proprio la sua totale ordinarietà. Siccome egli è semplicemente se stesso funge da specchio ai suoi studenti". (pag 15 - Richard Baker)


Posizione

"Nella mente da principiante ci sono molte possibilità, in quella da esperto poche".

"Se la vostra mente è vuota, è sempre pronta per qualsiasi cosa, è aperta a tutto" (pag 19)

"La cosa più importante nell'assumere la posizione zazen è tenere dritta la spina dorsale. Orecchie e spalle dovrebbero essere allineate. Rilassate le spalle e spingete in alto, verso il soffitto con la nuca. Dovreste anche far rientrare il mento. Quando il mento è proteso in alto non c'è forza nella vostra posizione; probabilmente state nel mondo dei sogni.

Quando non cercate di ottenere niente, allora avete il corpo e la mente qui, proprio qui (...) noi dobbiamo esistere qui ed ora, proprio qui e proprio ora! Ecco il punto chiave. Dovete possedere il vostro corpo e la vostra mente (...) Assumete la posizione giusta quando guidate la macchina e quando state a leggere. Se leggete sdraiati, non riuscite a stare svegli a lungo. Provate. Scoprirete quanto sia importante tenere la posizione giusta. È questo il vero insegnamento. L'insegnamento scritto su carta non è il vero insegnamento." (pag 24-25)


Respirazione

"Quando facciamo zazen la mente segue sempre il respiro. Quando inspiriamo l'aria entra nel mondo interno. Quando espiriamo esce fuori nel mondo esterno. Il mondo interno è illimitato e così pure il mondo esterno. Noi diciamo mondo esternoe mondo interno, ma in realtà c'è un solo mondo e basta, indivisibile.

Quando dunque facciamo zazen, l'unica cosa che esiste è il movimento del respiro. Noi però siamo consapevoli di tale movimento. Non dovete distrarvi, lasciarvi trasportare altrove dai pensieri".

"Di solito il nostro modo di intendere la vita è dualistico, tu ed io, questo e quello, bene e male (...) 'Tu' significa essere consapevoli dell'universo in forma di tu e 'io' significa esserne consapevoli in forma di io". (pag 26)

"Quando dunque fate zazen non c'è alcuna idea di tempo e di spazio (...) Ciò che state effettivamente facendo è semplicemente stare seduti e essere consapevoli dell'attività universale. Questo è. tutto (...) Potreste dire: 'Devo fare qualcosa questo pomeriggio'. Ma in realtà 'questo pomeriggio' non esiste affatto. Facciamo le cose una dopo l'altra. Tutto qui". (pag 27)


Controllo

"Date alla vostra pecora o vacca un ampio spazioso pascolo: è il modo migliore per controllarla. Così anche con le persone: per prima cosa lasciate che facciano ciò che vogliono ed osservatele. Ecco la migliore politica. ignorarle non va bene; è proprio la peggiore politica. La seconda peggiore politica è tentare di controllarle. La migliore è starle a guardare, osservarle e basta, senza tentare di controllarle.

Lo sesso vale per voi stessi. Se volete ottenere una calma perfetta nel vostro zazen non dovreste farvi disturbare dalle varie immagini che trovate nella mente. Lasciatele venire e lasciatele andare. Allora saranno sotto controllo. Ma questa politica non è molto facile. Sembra facile a prima vista, ma richiede un tipo particolare di sforzo. Come esercitare questi tipo di sforzo è il segreto della pratica (...) Se tentate di calmare la mente, non riuscirete a star seduti, e se tentate di evitare il disturbo, il vostro sforzo non sarà il giusto sforzo (...) L'unico sforzo che vi sarà d'aiuto è concentrarvi sull'atto d'inspirare ed espirare. Noi diciamo concentrazione, ma concentrare la mente non è il vero intento dello Zen. Il vero intento è vedere le cose così come sono, osservare le cose così come sono e asciare che tutto vada come deve andare. Ciò significa mettere le cose sotto controllo nel sensso più vasto (...) La concentrazione è quindi soltanto un mezzo utile per aiutarvi a realizzare la 'grande mente', ovvero la mente che è ogni cosa.

Se volete scoprire il vero significato dello Zen nella vostra vita di tutti i giorni, dovete comprendere che cosa significhi mantenere la mente ferma sul respiro e il corpo nella giusta posizione zazen". (pag 27)

"La perfetta libertà non si trova senza delle regole" (pag 28)



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Ezra Bayda, Essere Zen, Ubaldini

"Quando la vita prende una brutta piega, che facciamo? Tentando di non cadere (...) scegliamo la nostra strategia (...) compiendo tentativi mal diretti di sfuggire alle difficoltà con lo svago, i piaceri, l'attività. Raramente mettiamo in discussione le nostre strategie che sono sempre radicate nella paura. Riteniamo che siano verità indiscutibili". (pag 13)

"Ci sono strategie di cura con cui si spera di trovare sicurezza nell'essere richiesti ed apprezzati. Ci sono anche strategie di bisogno in cui assumiamo l'identità della debolezza e entiamo disperatamente di essere salvati da una persona, da un gruppo o da un'istituzione.; e strategie di svago con cui cerchiamo un piacere dopo l'altro per colmare i vuoti dello struggimento e della solitudine." (pag 14)


"Nei primi anni Settanta comprai una casa con un piccolo appezzamento di terreno nella California del nord. Per undici anni mia moglie ed io coltivammo un grande orto biologico. Avevamo in mente di vivere dei frutti della terra, il che voleva dire allevare capre per il latte, polli e pecore per la carne. Era una vita piacevole (...) Quando però ci ammalammo entrambi di una grave malattia del sistema immunitario,nel nostro sangue furono rilevati alti livelli di residui di DDT. Il DDT era stato sepolto nella proprietà prima che la acquistassimo e i veleni si erano introdotti nel nostro corpo tramite le verdure e la carne che avevamo coltivato e allevato con tanta cura (...) Paradossalmente il tentativo di vivere secondo uno stile. di vita salutare ed ecologico aveva contribuito all'insorgere di una malattia debilitante cronica.

Per quanto proviamo non possiamo mettere in atto strategie e controllare il nostro mondo in modo da evitare ogni difficoltà". (pag 15)


"In primo luogo potremo imparare a riconoscere che la difficoltà è il sentiero, invece di cercare di sfuggirle. È un cambiamento di prospettiva radicale, ma necessario (...) L'essenza della pratica non consiste nel cercare di cambiare la vita, quanto il nostro rapporto con le aspettative: imparare a considerare qualsiasi cosa accada come il nostro sentiero.

Le difficoltà non sono ostacoli sul sentiero, sono il sentiero stesso. Sono occasioni di risveglio.


"In secondo luogo, quando siamo colpiti dalla durezza della vita, possiamo imparare a non puntare il dito accusatore (contro qualcun altro, contro noi stessi, contro un'istituzione o addirittura contro la vita stessa) e a volgere invece l'attenzione all'interno (...) Allora potremo a poco a poco arrivare a comprendere che ogni reazione emotiva è il segnale della presenza di un sistema di convinzioni che non abbiamo ancora esaminato accuratamente". (pag 16)

"Sostanzialmente vogliamo che la vita ci accontenti.

Quello che ci serve è un cambiamento, graduale ma sostanziale, di orientamento verso la vita; un cambiamento che comporti la disponibilità a vedere, a imparare, a essere semplicemente con tutto ciò che incontriamo (...) La chiave è la disponibilità a imparare da delusioni e disinganni". (pag 17)



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Sri Aurobindo, La Vita Divina, vol I, Ed. Mediterranee

"La soluzione perfetta sarebbe l'immortalità materiale di un corpo animale pienamente organizzato al servizio della mente". (pag 14)

"L'uomo stesso non può essere forse un laboratorio vivente e pensante in cui, e con la cui collaborazione cosciente, la Natura vuole elaborare il superuomo, il Dio? O meglio, manifestare il Divino? (...) Se è vero che lo Spirito si trova involuto nella Materia e che la Natura apparente rappresenta una Divinità nascosta, allora la manifestazione del Divino e la realizzazione della Divinità all'interno come all'esterno, sono la più alta e legittima meta possibile per l'uomo sulla terra.

In tal modo l'eterno paradosso e l'eterna verità di una vita divina in un corpo animale, di un'aspirazione o di una realtà immortale che abita in una dimora mortale, di una coscienza unica e universale che si manifesta attraverso menti limitate ed ego separati (...) si giustificano alla riflessione razionale come l'istinto e l'intuizione persistenti del genere umano" (pag 15)

"E se esiste una più alta luce d'intuizione illuminata o di verità in via di rivelazione che si trova attualmente nell'uomo ostruita ed inerte, o opera a lampi intermittenti come da dietro un velo, allora non dobbiamo aver paura di aspirare. Perché probabilmente quella è il prossimo stato superiore della coscienza, di cui la mente non è che una forma o un velo..." (pag 16)


NOTA: Comprendere Sri Aurobindo comporta una lettura attenta e concentrata in cui ogni parole deve essere percepita. Sri Aurobindo esprime concetti altissimi e profondissimi con un linguaggio poetico e intelligentemente preciso. Le menti sistemiche sono le più adatte a comprenderlo.










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