VARIAZIONI SUL TEMPO
- Roberto Maria Sassone
- 27 gen
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 10 feb
Romanzo progressivo di Roberto Maria Sassone

Da qualche giorno una voce insistente, un pensiero che nasceva da un luogo nascosto gli diceva: “Ma tu chi sei veramente?”. Leo passeggiava con accurata lentezza nel prato della cascina, posava lo sguardo a caso, osservando i dettagli, ma la sua attenzione era affascinata da un velo persistente di malinconia, sottile ed insistente; era una condizione che non riusciva a spiegarsi, uno stato contraddittorio di piacere avvolto nella sofferenza. Sembrava un canto struggente.
Sentiva il tempo scivolargli addosso. Ne aveva una lucida consapevolezza. Non c’era timore della morte, ma la percezione che il suo tempo stesse scadendo. Non era attaccato alle cose, ma aveva scoperto il piacere delle piccole cose, che gli sembravano immense e lo mandavano in estasi. Comprese all’istante che quella malinconia era connessa proprio alla mancanza di tempo. Voleva gustarsi a lungo le pause di ascolto dei sentimenti evocati dalla musica, dalla lettura, dalla natura. Auro aveva la certezza che i sentimenti fossero riflessi di stati di coscienza di altre sfere, come il profumo che fa presagire la rosa. Ormai in tarda età aveva scoperto il sentore dell’amore, non più una semplice emozione, ma un coinvolgimento dell’essere in cui ogni oggetto d’amore si fondeva con la pienezza dell’anima che si manifestava sempre più spesso. Riconosceva in quella realtà esterna un accordo col respiro del suo essere.
Si soffermò con lo sguardo sull’ingresso della cascina e fu assalito dalle memorie di anni passati e sulla percezione di sé in quegli anni. Quando tornavano gli antichi ricordi era preso da vergogna. Il bisogno di sentirsi amati offusca la verità dell’anima e ci spinge a diventare poveri guitti che inseguono un applauso, malgrado nel fondo ci sia un anelito che resta celato e che di tanto in tanto riesce a farsi strada tra quella coltre di miseria.
Leo era diventato intollerante col tempo. Aveva maturato una sensibilità acuta nel cogliere la menzogna celata negli sguardi e nelle parole dei portatori di verità. Non era orgoglioso di questa sua intransigenza; ne vedeva il fastidio e sapeva di saper essere sgradevole. Per questo negli anni si era isolato ed aveva imparato a gustare la solitudine e la malinconia.
Riprese a camminare con cura, avvolto nel piacere dell’inutile passo, osservando senza mettere a fuoco i particolari. Sapeva che d’improvviso un oggetto si sarebbe imposto con forza alla sua attenzione e il suo sguardo lo avrebbe visto con sorpresa, come se per la prima volta quell’oggetto si fosse palesato alla sua coscienza. Questa volta fu un fungo a sorprenderlo. Era lì, solitario, sul prato. Un piccolo normalissimo fungo. Ma era così pieno di sé nella sua semplicità. Nessuna vanagloria. Sembrava dicesse: “Sono qui”. Si chinò verso di lui. Ogni volta era preso da stupore; quel piccolo essere vivente era perfetto e metteva Leo di fronte alla sua piccolezza.

Senza fretta tornò sui suoi passi verso una piccola casetta che aveva fatto costruire sul prato, a ridosso di alcuni alberi. Odorava di legno e d’incenso, con un lieve sentore di fumo. Ogni volta che chiudeva alle sue spalle la porta sentiva di essere avvolto da un guscio poroso ed intimo. Percepiva piccoli fremiti nel corpo e silenzio. Era lo spazio delle intuizioni, il luogo sacro della sua anima, la fonte della sua ispirazione. Per un po’ il mondo era lontano, la folle stupidità della gente, le parole fintamente ispirate degli spiritualisti e degli intellettuali.
Da innumerevoli anni sentiva sempre gli stessi luoghi comuni, frasi fatte, copiate dai libri e ripetute con la saccente ignoranza degli apprendisti iniziati. Leo era nauseato da questo loro atteggiarsi a sapienti, e nello stesso tempo giudicava questa sua intolleranza. Era ben consapevole di quante falle avesse ancora la sua vita, ma era altresì certo della sua sincerità. In svariati decenni aveva raccolto alcune pepite d’oro, aveva imparato a sentire il sacro spazio del cuore, talvolta a fondersi con esso, lasciando alla deriva la sua personalità; ma soprattutto aveva esplorato la sua ignoranza, la fragilità, la meschinità. Era amorevolmente spietato con se stesso. Il suo traguardo era aver raggiunto l’incapacità di prendersi in giro. Se ne accorgeva all’istante. Ma non pensiate che questo traguardo fosse comodo, tutt’altro! Appena stava per cadere nel tranello del compiacimento, dell’aggiustarsi le cose, di indorare la pillola, prendeva consistenza uno sguardo interiore che non faceva sconti; però aveva imparato a sorriderne. Questa era ormai la sua forza. Rideva della sua idiozia, con un pizzico di benevolenza. Sapeva come fare a non prendersi troppo sul serio.
Mentre era seduto sul divano intento a scegliere quale brano di musica ascoltare, sentì delle voci provenire dall’ingresso della cascina. Ne fu contrariato perché si era rifugiato nella casetta per trovare il silenzio. Diede uno sguardo e vide due persone che parlavano con Emanuele, l’amico che viveva nella cascina e che ne era l’anima. Erano una donna ed un uomo sulla quarantina; lui in jeans e pullover, che faceva piccoli gesti con le mani, gesti morbidi e un po’ ieratici; lei aveva una gonna lunga piena di fiori, con una strana giacchetta di stile orientale e molte collanine al collo. Era magra ed eretta, con una postura severa.
Leo stava per distogliere lo sguardo e tornare a quel momento inebriante in cui era concentrato nella gioia della scelta musicale, quando si sentì chiamare da Emanuele: “Vieni, ti voglio presentare due terapeuti che sono venuti a trovarmi”. Leo si sforzò immediatamente di trovare un comportamento umano, mentre sentiva invece salire in maniera preoccupante la belva interiore, ed uscì dalla casetta. Avrete capito, cari lettori, che Leo invecchiando, diventava sempre più misantropo.
Ma non fatevi un’idea sbagliata di lui. Non era scostante e presuntuoso, ma ormai aveva affinato così tanto negli anni la sua capacità di percepire le persone che ne coglieva all’istante le caratteristiche, le qualità ed i comportamenti nascosti. Poteva essere una persona amabilissima con chi percepiva autentico e sincero, ma detestava ogni atteggiamento affettato o supponente. Non si faceva più molte illusioni sugli esseri umani, compreso se stesso, soprattutto su quegli individui che sembravano trasudare conoscenza e saggezza. Lui ad ogni anno che passava sentiva crescere la sua ignoranza, di pari passo con il condensarsi delle sue consapevolezze. In poche parole più Leo esplorava, comprendeva e acquisiva densità ne suo essere, più sentiva la sua piccolezza.
Ma siccome voleva bene ad Emanuele, uscì dalla sua casetta e andò incontro al terzetto sentendo dentro una vocina che gli diceva: “Mi raccomando, comportati bene, non essere prevenuto, tieni a freno la belva antipatica; magari sono persone a posto. Sii benevolo”. Leo fece alcuni respiri profondi, si lasciò cadere dentro, in uno spazio che aveva imparato ad abitare in cui non si muoveva nulla, e si avvicinò con un leggero sorriso. Non era un finto sorriso perché proveniva da quello spazio che vi ho accennato prima. No, vi prego, lettori, non siate severi e non interpretate male. Leo non aveva una duplice personalità, ma semplicemente ormai una cosa gli riusciva bene: spostarsi dalla sua personalità a quello spazio interno che prendeva le distanze dalle inutili chiacchiere della mente. Posso confermare che era una sua caratteristica molto reale che aveva conquistato a caro prezzo negli anni. Anche a me, che conosco benissimo Leo da una vita, riesce difficile spiegare questa sua caratteristica.

Dopo le presentazioni la donna lo guardò con uno sguardo indagatore; sembrava soppesarlo. Si rivolse ad Emanuele: “Noi vorremmo organizzare in questa sede un gruppo di risveglio interiore. Il nostro progetto è di stimolare i partecipanti alla consapevolezza che essi sono importanti e che hanno valore; vogliamo che siano artefici del loro benessere e che scoprano che possono realizzare i propri sogni coltivando il pensiero positivo. La nostra linea di pensiero è che bisogna superare le ombre dei conflitti personali, rimettendo se stessi al centro della vita. Bisogna essere sempre protagonisti.
Io ed il mio collaboratore contestiamo quella psicologia che vuole mettere le mani nella sofferenza. Non c’è bisogno di sporcarsi; vogliamo offrire una via che consenta ai nostri pazienti di volare alto.
Applichiamo le tecniche di mindfulness, le formazioni mentali guidate ed esercizi corporei di rilassamento.”
Il suo collaboratore si limitò ad annuire con un’espressione buona e comprensiva. Era evidente che provava un interesse non solo professionale per Viviana. Il suo sguardo era eloquente; ne era completamente preso.
Emanuele, con la sua solita ed autentica disponibilità, ascoltò attentamente. Egli poteva apparire una persona ingenua, proprio per questa sua gentilezza nell’accogliere ed anche per il suo linguaggio semplice, ma di fatto era un acuto osservatore e sapeva leggere la qualità delle persone e le loro reali intenzioni.
Con sguardo sorridente fece a Viviana un’osservazione: “Sembra un progetto interessante. Noi in questa cascina vogliamo persone che portino armonia e che abbiano un’aspirazione spirituale. Intanto vi faccio vedere il Centro. Sentite che energia c’è in questo luogo. Vediamo che cosa prende forma.”
Intanto Platone, il cane che viveva nella cascina con Emanuele, annusava con circospezione la gamba di Viviana che si chinò verso di lui per fargli una carezza, con una dolce espressione di voce; ma Platone ringhiò leggermente, allontanandosi. Viviana si mostrò contrariata anche se non voleva farlo vedere. Emanuele subito intervenne: “Deve prima conoscere le persone”. “È strano, replicò prontamente Viviana; io ho un ottimo rapporto con gli animali”.
Nel mentre il collega, Mario, si era avvicinato a Platone che si mise a scodinzolare, accettando le sue carezze. Viviana lanciò un rapidissima occhiata a Mario, ma Leo lesse molte cose in quello sguardo fatto di sfuggita, cose che non gli piacquero.
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