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Ma di che consapevolezza parliamo?




Anche la parola "consapevolezza" è spesso fraintesa, abusata e strumentalizzata a proprio uso e consumo. Quando si parla di consapevolezza non intendiamo un processo puramente cognitivo che per sua natura di fatto non ha niente a che fare con la consapevolezza come "chiara visione" di un problema, di un conflitto e di un atteggiamento. Sapere con la "testa" non serve a niente e non cambia niente. Anzi, questo tipo di consapevolezza cognitiva può dare l'illusione di essere sulla strada della trasformazione. Ci si sente arrivati perché capiamo delle cose di noi che però continuano a restare invariate. Ci riempiamo la bocca di questa presunta consapevolezza senza cambiare nulla. La consapevolezze di cui si parla nella Vipassana è una profonda percezione di Cuore che COMPRENDE e offre spunti per agire su noi stessi. La vera consapevolezza si trasforma in AZIONE. Senza passaggio all'atto la consapevolezza è sterile. Per questo più volte ho sostenuto che la meditazione non sostituisce le pratiche psicologiche (psicoterapie, gruppi di crescita personale e quant'altro). Questa è naturalmente la mia opinione maturata negli anni. Nella Vipassana e nella Mindfulness per esempio viene data importanza all'osservazione del corpo che vuol dire imparare a SENTIRE. Qui si parla di un recupero di percezione di sè e non di un pensiero astratto. Per essere ancora più preciso devo anche dire che in certe fasi del processo di trasformazione di sè può essere utile sospendere la meditazione. Ci sono persino certe strutture caratteriali che vivono nella fantasia e che non sono radicate a terra che non dovrebbero meditare e per le quali sarebbe molto più utile fare un lavoro corporeo ed emozionale da cui trarre la consapevolezza di sè. La consapevolezza è grounding, RADICAMENTO alla Vita, altrimenti è solo un altro dei mille modi che escogitiamo per fuggire.

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